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Una mazza da golf e tante case vuote

Ferro3 la casa vuota

Un film di Kim Ki-duk


di Oriana Maerini


Un film particolarissimo. A cominciare dal titolo. Kim Ki-Duk ha voluto chiamarlo 3-IRON con riferimento alla mazza n.3 che nel gioco del golf è quella meno usata. Qui si gioca la metafora di una persona abbandonata o di una casa vuota. Ma per il protagonista questa mazza è anche un’arma è si trasforma, così, in un simbolo di speranza in un cambiamento.
Considerato tra i registi coreani di maggiore spessore Kim Ki-duk ci regala (dopo Samaritan Girl, vincitore l’Orso d’Argento al 54esimo Festival Internazionale del Cinema di Berlino e dopo il bellissimo Primavera, estate, autunno, inverno …e ancora primavera) un altro capolavoro che la giuria di Venezia ha premiato con il Leone d’argento.

La vicenda racconta la storia di Tae-suk, un ragazzo che viaggia sulla sua moto alla ricerca di case vuote su cui stare per un po’. Selezione le case vuote aprendo quelli in cui i volantini che lascia qualche ora prima non sono stati rimossi.
Tae-suk occupa queste case fino a quando i proprietari non rientrano, ma non ruba mai nulla; vi rimane solo a fare la guardia per qualche giorno, aggiusta oggetti che non funzionano più, e lava persino la biancheria sporca. Un giorno entra in una casa lussuosa in cui incontra la donna del suo destino – una donna sposata di nome Sun-hwa, che soffre imprigionata in un matrimonio con un uomo che la maltratta. Lei lo osserva silenziosa e capisce che non si tratta di un ladro. Sun-hwa lo guarda come se lo volesse supplicare di salvarla, ma lui lascia la casa. Ma quando assiste all’ennesima scena di maltrattamenti da parte del marito afferra la mazza da golf n.3 e colpisce l’uomo. I due fuggono via insieme e cominciano ad occupare insieme le case vuote. Sun-hwa gradualmente ritrova il sorriso e poco alla volta si innamora di lui.
Poi la loro vita errabonda si complica e vengono divisi ma lui troverà un modo per tornare a farla felice.

Il cinema di Kim Ki-duk, anche se tratta temi drammatici, è pura poesia. Kim Ki-duk non è un autore che cerca risposte. Egli ammette che la vita può essere anche violenta e senza pietà e osa avventurarsi in temi scottanti con una leggerezza unica.
Ancora una volta ci arriva dall’estremo oriente una lezione di stile ed una novità nei contenuti che noi non riusciamo ad elaborare.

Giudizio: * * * *





(Venerdì 10 Dicembre 2004)


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