 Charlize Theron fa la soldatessa Aeon Flux Un Wu-xia all'europea
di Mirko Lomuscio Regia: Karyn Kusama Con: Charlize Theron, Marton Csokas, Jonny Lee Miller Distribuzione: 01 distribution
Anno 2415. La Terra è un luogo di pace e prosperità, dove gli esseri umani vivono in armonia, asserragliati nelle loro città, recintate da enormi mura che confinano con l’infinita natura. Ma, dietro questa vita perfetta, si nasconde una perfetta bugia. Aeon Flux (Charlize Theron), soldatessa facente parte di un gruppo di ribelli che lottano contro la tirannia del governo comandato dal potente Trevor Goodchild (Marton Csokas), affiancato dall’ambizioso fratello Oren (Jonny Lee Miller), cerca di svelare questo enorme segreto. Il suo compito è quello di uccidere Trevor, ma, durante la missione, qualcosa va storto: qualcosa che la aiuterà a ricordare chi era e cosa la lega a Trevor Goodchild. Prima di esprimere un giudizio in riguardo al film, siamo curiosi di sapere se qualcuno sentiva ancora il bisogno di vedere una nuova avventura fantascientifica ambientata in mondi futuristici con gruppi di ribelli impegnati a debellare forze malvagie per ridare al mondo verità e giustizia. O se, cinematograficamente parlando, per rimanere stupiti sono sufficienti fantastici scontri a corpo ed a fuoco, come ci hanno recentemente abituati prodotti del calibro di Matrix e Underworld.

Se la vostra risposta è negativa, Aeon Flux non è il film che fa per voi, in quanto, oltre ad essere la trasposizione cinematografica di un noto cartone animato ad episodi trasmesso su Mtv, si presenta come l’ennesimo prodotto di fantascienza noiosamente costruito sui vari combattimenti che l’atletica protagonista, dai capelli neri ed immancabile tutina attillata, si appresta ad affrontare tra una frase filosofica e l’altra, contornata da scenografie ed effetti speciali di notevole impatto visivo (elementi tipici di queste produzioni).
Nulla di originale, quindi, ma il vero problema del film di Karyn Kusama, già regista dell’indipendente Girlfight, è che non sembra possedere in alcun modo una vera e propria anima. Sono presenti discorsi sull’esistenza e sull’importanza di vivere la propria vita e far vivere quella degli altri, ma vengono schiacciati dalla sfrenata voglia di voler mostrare in continuazione momenti spettacolari che, tra l’altro, rasentano a volte il ridicolo.
Il tentativo di rinnovare il classico intreccio di script fantascientifico ricorrendo all’esistenzialismo ed al coinvolgimento della tecnica nel destino degli esseri umani, poi, non fa altro che confondere le carte, contribuendo a far distogliere lo spettatore, interessato all’intrattenimento puro.

Viene quindi da pensare che la pellicola cerchi anche di toccare picchi di autorialità, finendo per condurre il tutto verso un cinema che rimane incompiuto, senza trovare posto neanche tra i lungometraggi di culto che hanno fatto la gloria dei prodotti di serie B.
In tutto ciò salviamo soltanto l’emergente Marton Csokas, bravo attore neozelandese che vede i suoi esordi in Quel gran genio di Jack Brown, prodotto nel 1992 da Peter Jackson, mentre Pete Postlethwaite, in tuta spaziale e capo rasato, difficilmente non strapperà più di un sorriso, tanto che ci aspettiamo di ritrovarlo all’interno di qualche parodia.

(Sabato 25 Febbraio 2006)
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