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 Un'ora e 50 minuti di grande musica country Radio America "A prairie home companion"
di Piero Nussio Grande, grande Altman. Anche quando non è tutta farina del suo sacco. Anzi, ancora più grande proprio perchè sa dare valore alla farina del sacco altrui. In Radio America (A prairie home companion, 2006), la farina è essenzialmente del sacco di Garrison Keillor che, oltre ad interpretare se stesso –il presentatore “GK” dello spettacolo- è anche l’autore di soggetto e sceneggiatura, nonché l’animatore del vero spettacolo radiofonico A prairie home companion.
Già, perchè il programma radiofonico esiste davvero, ed è trasmesso in USA su ben 558 diverse frequenze (e quindi aree geografiche), nonché dalla BBC inglese, dalla RTE irlandese, via satellite, via cavo, ed ultimamente in Internet, a tutto il mondo.
Nel film dicono che lo spettacolo di musica country che stanno facendo è qualcosa di polveroso e dimenticato, morto e sepolto, quasi un buco nel tempo... Nella realtà la trasmissione è seguita dal vivo da trent’anni da 4 milioni di ascoltatori, e in differita da più di 35 milioni di appassionati nel mondo. Un bel modo di essere morto e sepolto...

Radio America: I cowboys Lefty e Dusty Cominciamo dal chiarire le carte: io sono un fan della musica country, dai tempi di Pete Seeger e di Woody Guthrie, passando poi per Bob Dylan, per Joan Baez e da Arlo Guthrie e dal film Alice’s Restaurant. E poi ci sono i grandi della tradizione, come Johnny Cash, Patsy Cline, la Carter family, Tennessee Ernie Ford e le sue "16 tons", ecc. Ma non sono da solo, insieme a me ci sono molte milioni di persone al mondo, che amano questo tipo di musica nelle sfaccettature che vanno dalle canzoni popolari irlandesi fino al country-rock, passando per l’hilly billy ed il bluegrass fino al nashville sound. Già, Nashville (1975), forse il più bel film del grande artigiano Robert Altman, che ha fatto conoscere la città, la sua musica ed i problemi dell’America profonda a milioni di persone in tutto il mondo.
Le inquietudini di quell’epoca, il partito “fondamentalista”, l’uccisione sul palco tanto presaga di quella di John Lennon, i problemi che avrebbero attanagliato gli USA e tutto l’occidente e la stupida risposta corale: “It don’t worries me” (io non me preoccupo).
E cinematograficamente, una maniera totalmente nuova e “concerned” (profondamente interessata), per farne un film veramente corale e sfaccettato.

Radio America: Robert Altman in un gioco di specchi Radio America è sulla stessa linea, ma trentun anni dopo e con tutte le differenze del caso. “Concerned” (profondamente interessato) lo è allo stesso modo: Altman da “vecchietto” è sempre interessato ai film corali, alle sfaccettature d’ogni genere, alla comprensione profonda di ciascun personaggio e problema.
Anzi, il misto di vero e falso col passare degli anni, è divenuto ancora più intricato ed intrigante. Il film si chiama come la trasmissione radio, lo interpreta e lo ha scritto la stessa persona che lo presenta nella realtà, il teatro è proprio quello, e così i musicisti, i tecnici , i truccatori e qualcuno dei cantanti (per esempio, Robin & Linda Williams, Pat Donohue).
Ma addirittura appare un angelo (“Asfodelo”, Virginia Madsen), c’è un investigatore privato – addetto alla sicurezza (“Guy Noir”, Kevin Kline un una grandiosa interpretazione) che è personificato direttamente dalle pagine di Raymond Chandler ed un inizio di film con Guy Noir che è disceso figurativamente dai quadri pop di Edward Hopper e cinematograficamente dai “noir” anni ’40-‘50 di Humphrey Bogart. E poi c’è l’apparizione di Francis Scott Fitzgerald sotto forma di scambio di battute e di busto in bronzo –con cappello di feltro- che non può non deliziare chi conosce lo scrittore, le trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi, il suo lavoro di sceneggiatore ad Hollywood, il trattamento che ne hanno fatto i fratelli Cohen, e così via in un gioco di rimandi e citazioni che rischia di diventare infinito e di raccoglier in sé tutto il cinema americano del dopoguerra.

Radio America: Francis Scott Fitzgerald col feltro Ma, prima di abbandonare Scott Fitzgerald, come non notare che la maggiore protagonista di “Radio America”, Meryl Streep è più vicina alla classicità dei temi di Scott Fitzgerald (Il grande Gatsby, Belli e dannati, Gli ultimi fuochi, Tenera è la notte) che non al rude mondo del country da baraccone?
Eppure, Meryl Streep dà nel film di Altman un’interpretazione straordinaria (come attrice e come cantante) di chi sembra abbia fatto la corista country per tutta la vita, e che abbia sempre recitato insiema a Lily Tomlin (grande recupero di una brava attrice e cantante, proprio dai tempi di Nashville).

Radio America: Meryl Streep e Lily Tomlin C’è un difetto, di sicuro. Chi ama i film d’azione, tutti corse-inseguimenti-scazzottature, da questo film si astenga. Chi ama i film spettacolari e superficiali, con trame intricate, rovesciamenti di situazioni e sorprese mozzafiato, parimenti si astenga.
Questo, che ci godremo perciò in pochi (solo svariati milioni, vedi sopra...), è un film tutto sospeso in attesa di eventi. Ce ne sono, ed più d’uno anche mortale, ma nello spettacolo –come pure nel film- vige la regola che di morte non si parla mai, e tantomeno si fa vedere. Di cose ne succedono abbastanza (personaggi: il detective, il tagliatore di teste, la segretaria incinta, l’angelo della morte, i cowboy sporcaccioni –ma eterosessuali-), ma l’atmosfera è quella del grande spettacolo.
“The show must go on” (lo spettacolo deve continuare) specie se si tratta dell’unica cosa che ti tiene compagnia quando vivi in una casa spersa nella prateria (“A prairie home companion”). E lo spettacolo non manca: dal vivo, trasmesso alla radio, visto al cinema, sul palco, dietro le quinte. Gente che canta per davvero, jingle inventati, barzellette sporche ("bad jokes") ma divertenti, improvvizazioni e pure qualche stonatura.

Radio America: Kevin Kline ''hard boiled'' A proposito di stonature: ho visto I walk the line, il film biografico su Johnny Cash, ovviamente. Musicalmente valeva, ma cinematograficamente... Ed anche come contenuti, era abbastanza vuoto. Radio America è tutt'altra musica, pieno di cinema e di contenuti. Non troppo diretti e immediati. Altman è un regista, un artigiano. Potrebbe dire, come disse John Ford, “Mi chiamo Robert Altman, e faccio film country”.
John Ford disse che faceva western alla commissione McCarthy che lo stava inquisendo, e la sua era una forte dichiarazione politica. Robert Altman fa film come Nashville e come Radio America in momenti importanti. Fare un film del genere oggi, significa affermare dei valori (le radici del vivere americano) in un momento in cui si sono proprio perse un “grande nulla a colori” (cfr. Fiori spezzati e Non bussare alla mia porta). Significa parlare di “tradizione”, di “tolleranza”, significa tornare a sognare “The slow days of summer” (I lenti giorni d’estate) invece delle nevrosi di New York e dei terrori di Bagdad. Significa forse che l’America, come la ragazza della canzone, “She is more to be pitied than censured” (È più da compatire che da condannare).
Ed allora, il film andrà rivisto da capo alla luce dei suoi contenuti "ideologici", da gustare insieme alla musica.
Ascolta una clip audio dal film (in formato mp3) Radio America: clip audio
(Giovedì 1 Giugno 2006)
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