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Buon successo del documentario musicale

L'orchestra di Piazza Vittorio

La nascita dell'orchestra multi-etnica


di Piero Nussio


L'orchestra di Piazza Vittorio


Questa volta ho provato un sottile piacere a sentirmi romano. La città si è presa molti insulti, negli ultimi anni. Alcuni erano meritati ed altri del tutto gratuiti, ma il suo ventre molle ed il degrado di alcuni luoghi centrali erano sinceramente innegabili.

La rivincita viene proprio, strano a dirsi, da un suo ventre molle e degradato. Piazza Vittorio ha vissuto dei momenti veramente molto brutti, abbandonata dai romani ad un flusso inarrestabile di abitanti precari ed improbabili. Non tanto “stranieri”, quanto poveri, sradicati e migranti.

Il cinema “Apollo”, nella zona, poteva a giustificato motivo esserne il simbolo tangibile: una bella sala d’inizio secolo degradata di anno in anno sempre più, fino al triste destino nel periodo delle “luci rosse” e poi all’abbandono più totale.

Invece, proprio da questo inarrestabile declino nasce la scintilla che inverte “il senso del destino”: dal progetto di trasformazione del cinema in sala Bingo nasce un’associazione nel quartiere per recuperare la sala e la zona dal degrado, e prende il nome di Apollo 11 in senso ironico e scaramantico.

Mario Tronco


Tu sapessi cosa è Roma è la frase di Pier Paolo Pasolini posta ad epigrafe del film che documenta la storia del recupero e la nascita dell’Orchestra multietnica.

Perché, fra gli animatori dell’associazione “Apollo 11” c’erano un regista (Agostino Ferrente, film-maker segnalato dal festival del cinema giovane di Torino) ed un musicista (Mario Tronco, tastierista degli Avion Travel).
Dunque, come costola del progetto “Apollo 11”, nasce l’idea di un’orchestra multietnica stabile, e di un film che ne documenti la nascita.

Si, di sicuro Agostino Ferrente non è Wim Wenders, e forse Mario Tronco non è Ry Cooder, ma il riferimento cinematografico è sicuramente Buena Vista Social Club (USA, Cuba 1999). E, nel confronto, L’orchestra di Piazza Vittorio non è affatto surclassata.

Il valore politico di Buena Vista Social Club, la timida apertura americana nei confronti di Cuba, è innegabile. Come pure il valore musicale, curato da Ry Cooder ed appoggiato ai musicisti cubani di “son”, agli interpreti del folklore cubano del valore di Compay Segundo, Ibrahim Ferrer e Omara Portuondo.

Il film L’orchestra di Piazza Vittorio non può schierare un simile elenco di musicisti famosi (e non lo nega, si veda lo spassoso dialogo fra Mario Tronco ed un musicista indiano un po’ troppo pieno di sé), ma presenta invece un esperimento musicale interessantissimo, forse tentato qui per la prima volta: confrontare, cioè, su uno stesso brano musicale le tradizioni, i metodi e gli strumenti provenienti dai più lontani angoli della terra, e che mai si erano in questo modo incontrati.

Musicisti veri, dunque, tutti con alte capacità personali e professionali, ma per tentare un “esperimento linguistico” che non ha precedenti nella storia musicale: l’ibridizzazione totale di tradizioni musicali (europea colta, araba, indiana, sudamericana, rock, africana, jazz, ecc.) e la creazione di una vera orchestra no-global.

Il musicista indiano Mohammed Bilal


Agostino Ferrente è troppo occupato a narrare la storia del progetto che l’ha visto aggirarsi per anni in vespa con Mario Tronco per Piazza Vittorio ed viali dell’Esquilino per trovare il tempo di darsi arie da “grande regista” e scimmiottare Wenders, non lo fa –per fortuna- e –per fortuna ancora più grande- evita anche i rischi del cinema militante di pessimo ricordo.

Troppo carine sono le situazioni con i vari musicisti (il cuoco cubano, l’argentino in cerca di casa, l’indiano con i parenti a carico, gli arabi da crociera) perchè il film possa perdere quel senso di avventura naif che ne è una delle caratteristiche migliori.

I materiali cinematografici sono spesso di fortuna, le immagini sporche e sgranate (per necessità tecnica, non per sciagurata scelta stilistica...) e la Roma che ne è protagonista è allo stesso tempo una degradata e cosmopolita città del basso impero, la metropoli per gli spauriti indiani del Bengala, il quartiere dove s’agitano le attività sociali e quelle commerciali, un luogo politico, un crocevia musicale.

E poi il più bello di tutti: quello di scoprire un amico d’infanzia (il maestro Leandro Piccioni) che –silenziosamente e con gesti misurati- è l’arrangiatore, il coautore di tanti bei pezzi musicali.

Tu sapessi cosa è Roma, e quanto fa piacere talvolta sentirsi romani...

Il trombettista cubano Omar Lopez Valle



(Venerdì 13 Ottobre 2006)


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