 Il nuovo film di Sophie Coppola Marie Antoinette La vita a Versailles della regina di Francia
di Pino Moroni Delle numerose edizioni dei film sulla regina di Francia Maria Antonietta sono memorabili quella di W. S. Van Dyke del 1938, con Norma Shearer e Tyrone Power, e quella di Jean Delannoy del 1956, con Michele Morgan e Richard Todd. Ma, insieme a quella recente di Sophie Coppola (2006), tutti e tre i film non riescono ad andare oltre il “grande spettacolo”, apprezzabile per la professionalità di tutte le maestranze, con un alto livello di regia, della fotografia, scenografia e musiche. Anche l’approfondimento storico, quasi maniacale nelle ripetitive scene di protocollo quotidiano e di feste e festini, è stato reso al massimo.
Parlando poi in particolare della “Marie Antoinette” di Sophie Coppola (Vergini suicide 1999, Lost in translation 2003), nel film non stona l’unica novità di rilievo, ossia l’inserimento di musiche rock e pop nella colonna sonora.

L’altra novità rispetto ai film precedenti è l’inserimento di frammenti di tematiche femministe, ma quest’ultima variazione non si può proprio definire né convincente né riuscita. Certo, visto il periodo raccontato con la sua vita quotidiana fatta di niente, un film su Maria Antonietta non poteva (e non potrà mai) essere diverso.
Un ambiente chiuso, ottuso, formalista, fuori della realtà che al suo capolinea, perde anche la testa. Antonietta vive tra riti, vestizioni, balli, pranzi e feste. I sarti ed i cuochi la viziano, e la noia è fatta apposta per il peccato. Dolci e vestiti, e voglia di una qualche droga.

Forse, la voglia di fare pazzie, di disobbedire e di peccare è la stessa di oggi. Ma quello non è il nostro periodo, ma l’epoca storica che preludeva alla rivoluzione francese. Nel film purtroppo manca ogni richiamo ai sobbalzi intellettuali dell’Illuminismo ed all’importante Terzo Stato che si andava imponendo.
Nell’eburneo mondo in cui viveva la regina, non arrivavano le idee che preparavano i tempi nuovi e la rivoluzione. Non c’era alcuna modernità, non c’era alcun barlume della “liberazione della donna”. Kirsten Dunst è perfetta nella parte di una vuota teenager che si trova quasi per caso ad essere regina di Francia.

Mentre l’ascesa e La presa del potere di Luigi XIV (Roberto Rossellini, 1966) è un affresco a tutto tondo dell’affermarsi del potere assoluto e dei fastigi della reggia di Versailles, la Marie Antoinette di Sophie Coppola non è l’affresco del tramonto dei re e dei suoi sicofanti, ma quello della continuità di un mito che prosegue imperterrito, con piena cecità sul prossimo futuro.
Forse la Coppola ha detto qualcosa di attuale: la nostra è una società cristallizzata nei riti del benessere che non vuole pensare al futuro.

(Lunedì 18 Dicembre 2006)
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