 Gus Van Sant come Pasolini Paranoid Park Film con una poetica sublime sul mondo giovanile
di Samuele Luciano Paranoid Park è un film che ad alcuni non piacerà, non è un film “bello”. I fans di Gus Van Sant accorreranno in sala, qualcun altro si addormenterà, ma si tratta di un capolavoro. E’ la storia di Alex (Gabe Nevins) e del suo terribile segreto, la storia di un adolescente americano dei nostri tempi, che frequenta il liceo e adora skateare. Così, un giorno si lascia convincere da uno dei suoi amici ad andare in un luogo malfamato quanto suggestivo: il Paranoid Park. Sarà un’esperienza quasi metafisica, Alex non si droga né beve, ma viene stregato da quella scultura in cemento su cui scorrazzano individui di ogni sorta, tutti incollati al loro skateboard, incuranti della forza di gravità. Le curve, le piroette, i salti dalle rampe si reiterano all’infinito, in un crescendo paranoico che attrae lo sguardo fino ad inebetirlo, fino a far scordare di sé, fino a cancellare, a furia di giri di rotelle, anche il dramma più interiore. Questa voglia di leggerezza da parte del protagonista ha però qualcosa di insano. Se è lecito infatti, tentare di eludere la penosa realtà attuale (la guerra in Iraq, la famiglia che si sfascia) attraverso una passione fagocitante, risulta inquietante che si riesca perfino ad eludere la propria coscienza. Alex ha tentato repentinamente di rimuovere dalla mente ciò che gli è accaduto, per una sorta di istinto di sopravvivenza, ma verità andrà a pescarlo presto. Gus Van Sant ci fa vedere quel “lentamente muore” Nerudiano, riferito nello specifico alla consapevolezza delle proprie responsabilità, che Alex tenta di smaltire in primis attraverso la confessione, non trovando tuttavia intorno a sé alcun destinatario valido:i genitori sono presi dal divorzio, gli amici sono troppo spensierati per capire, la fidanzatina troppo allettata dalla bellezza del suo boyfriend per accorgersi del suo disagio. Questa inconsistenza dei rapporti umani è descritta dal regista con inquadrature sfocate dei personaggi circostanti, sequenze rallentate sui primi piani a fuoco di Alex e un sonoro elettronico (Ethan Rose) che asciuga ogni coinvolgimento emotivo, a vantaggio di una rappresentazione spietatamente veritiera. Questo straordinario regista dimostra con coerenza (vedi filmografia) una grande attenzione ai giovani suoi conterranei, tanto da poterlo accostare ad un altro poeta italiano, di nome PierPaolo, che durante gli anni del boom preferiva entrare con la cinepresa tra le borgate romane a dare voce ai ragazzi più sciagurati, affamati di pane, ma allo stesso modo di un ascolto autentico.

(Lunedì 10 Dicembre 2007)
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