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Dopo il successo di 36 Olivier Marchal torna con un affascinante "polar"

L'ultima missione

Daniel Auteuil insuperabile nel ruolo dell'anti eroe noir


di Oriana Maerini


Sapevo che con « 36 Quai des Orfèvres» avrei dovuto sorprendere. La sfida questa volta sarà invece non deludere! Con questa frase Olivier Marchal sintetizza tutta la passione e la ricerca di perfezione che ha messo nella sua ultima pellicola «L'ultima missione. MR 73 » alla quale pensava da 15 anni.
E, almeno in parte, è riuscito nel suo scopo. A cominciare dalle prime scene in cui la voce di rasoio di Leonard Cohen accompagna le immagini di un Daniel Auteuil disfatto, crepuscolare e fallito: perfetto nel clichè dell'anti-eroe noir. La trama si snoda su un doppio binario: da una parte le gesta di un efferato serial killer che insanguina le strade di Marsiglia uccidendo donne facoltose; dall'altro il dolore di Justine (Olivia Bonamy), una giovane donna che è rimasta marchiata a vita dal brutale omicidio dei suoi genitori che rivive l'orrore alla vigilia del rilascio anticipato dell'assassino. Ad unire le due vicende c'è Louis Schneider, un poliziotto alla deriva dopo il tremendo incidente che gli ha distrutto la famiglia. Solo e contro tutti (soprattutto contro i colleghi corrotti) questo eroe di carta combatte la sua personale battaglia contro i mostri di oggi e di ieri.



Con questo ultimo capitolo della trilogia sui temi quali la solitudine, la disperazione e l’erranza, iniziata con Gangsters Marchal ha voluto rendere omaggio ai poliziotti traditi ed abbandonati che ha conosciuto durante la sua carriera nelle forze di polizia. Il risultato è un "polar" cupo e disperato ambientato in una Marsiglia piovosa e tetra che fa da ottimo sfondo alla solitudine ed alla disperazione del protagonista. Ed è un meraviglioso Daniel Auteuil che ci prende per mano e ci porta negli abissi del male puro, quello che senza redenzione che ti risucchia nel vortice della disperazione. Il film coniuga Melville (autore mito di Marchal) al filone recente del thriller americano (Seven)
La regia di Marchal è di pancia, emotiva. Incolla quasi sempre la cinepresa sui volti disperati dei protagonisti per evidenziare il dolore dei due personaggi speculari (Louis e Justine) e ce li fa amare in modo incondizionato, con tutte le loro debolezze e le loro ricadute.
Ma il pregio de L'ultima missione è anche quello di riportare il cinema francese all'antica gloria del genere poliziesco (Mémoires di Vidocq) che da sempre riesce congeniale agli autori d'oltralpe. L'unico difetto del film risiede nell'eccessivo fervore con il quale il regista insiste a denotare la perdizione del personaggio costantemente ubriaco e in continua discesa verso gli inferi della sua perdizione che, alla fine, lo strasforma in un vendicatore folle. Anche l'eccessiva lunghezza concede qualche spazio alla noia ma, a parte questo, la pellicola è un ottimo prodotto che coniuga azione, psicologia ed emotività miscelato da una regia che segue ottimi canoni di genere.

giudizio: * * *







(Venerdì 18 Aprile 2008)


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