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Il giardino nel cinema

Giardini e natura: lo sguardo del cinema

Disporre fiori come si dispongono le inquadrature


di Sandro Russo


Pubblichiamo, per l’interesse cinematografico del tema e come omaggio alla primavera che inizia, un estratto del saggio che l’amico Sandro Russo -naturalista e cinefilo- ha pubblicato nella rivista “ O, Scuola di scrittura Omero.



Poco cinema e molti batticuori, quando ci si andava da ragazzi. Che possa essere cominciata lì la mia passione per il cinema, mi sembra poco probabile; più che altro ci si andava d'estate per far caciara. Era una palestra per battute salaci o grevi, e per i primi incontri con le ragazze al buio, impegnati in tutt’altre faccende che non a vedere il film.
Questi ultimi poi non aiutavano certo: “cappa e spada” o polpettoni storici, soldati romani con le vaccinazione per il vaiolo in bell’evidenza sul braccio e bellone in pepli neanche troppo discinti.
Ma, cercando bene, qualche impressione mi è restata, di quelle agitate sere d’estate: una sala con i finestroni aperti oppure un’arena sotto il cielo stellato, i sedili delimitati da una fila di fioriere in cemento, ma sempre il profumo delle ‘belle di notte’ (Mirabilis Jalapa – Famiglia Nyctaginaceae).
Un fiore poco appariscente su una pianta disordinata e insignificante, ma un profumo che si insinua e rimane nella memoria. E mi è sembrato di riconoscerlo - se non il fiore in sé, la sensazione – in Nuovo cinema Paradiso di Tornatore.

Le ''belle di notte''


Una delle più immediate relazioni tra il cinema e un giardino è nell’essere entrambi una costruzione dell’intelletto. Un giardino non è la natura, ma la sua rappresentazione. Niente di quanto si trova in un giardino sta lì per caso; le singole piante e la loro disposizione sono state prima pensate e poi assemblate a formare un giardino; in modo analogo sono costruite le singole scene ed è realizzato un film nella sua interezza.

Questo è il punto di partenza teorico. Ma poi il giardino, licenziato dal suo progettista, comincia a vivere di vita propria. Incuranti delle intenzioni del creatore, le piante stabiliscono rapporti tra loro; si espandono e si autolimitano a seconda del caso e della necessità; si muovono a cercare la luce e un’esposizione migliore per le loro fronde. La disseminazione avviene in modo casuale e imprevedibile. Gli uccelli e altri animali colonizzano il giardino e apportano del loro: semi con le deiezioni, impollinazione da parte degli insetti e ibridazioni interspecifiche. Tutti i cambiamenti -incluse le morti e le nuove nascite- che sono la caratteristica della vita.

Un film, invece, non cambia. Però cambiano i suoi spettatori; cambia la vita intorno e il modo di guardarlo. A volte, oltre le intenzioni dello stesso autore, che forse –succede anche in letteratura– ha dato vita alla sua opera rispondendo ad un’esigenza che gli diventa chiara solo in seguito, o magari anche mai.

Il cinema ha messo in scena i giardini in tutte le sue possibili metafore. Alcuni film hanno registrato con esattezza questi aspetti, ritraendo i giardini accuratamente realizzati in cui si svolgevano i fatui passatempi e le schermaglie ritualizzate dell’aristocrazia del tempo.
Barry Lindon di Kubrick, ma soprattutto Vatel di Roland Joffé rimandano a questo mondo di totale asservimento della natura -includendo in essa oltre alle piante, anche gli animali e gli esseri umani più poveri - ai capricci dei potenti.
Nel film di Joffé, François Vatel (Gerard Depardieu) è il maestro delle cerimonie - organizzatore di eventi e giardiniere, gastronomo e botanico - di un potente del tempo, il principe di Condé, che nel suo castello di Chantilly ospita, nell’aprile del 1671, il re Luigi XIV. Saranno tre giorni di grandi banchetti e strabilianti scenografie per allietare e sorprendere l’ospite regale, e i giardini, per l’occasione addobbati, ne sono lo scenario essenziale.
Kubrick, con la sua caratteristica ossessione per il perfezionismo, si documentò, per le scenografie del suo Barry Lyndon, sui maggiori paesaggisti del tempo che andava a rappresentare, e girò le scene nei luoghi stessi dove la vicenda si svolge, in Irlanda, Inghilterra e Germania; esse vennero effettuate con l'ausilio della luce naturale e, per le scene notturne, con candele e lampade ad olio.

Big fish


Il giardino, o più in generale la natura, possono essere metafora dell’inconscio, del pericolo: insidia e minaccia.
Famoso il labirinto verde in Shining di Stanley Kubrick: l'immagine del labirinto di siepi dell'albergo viene inquadrato più volte, anche dall'alto; la stessa struttura interna dell'albergo richiama l'idea di un labirinto. Essi rimandano - lo dichiarò lo stesso Kubrick - al labirinto della mente nel quale progressivamente si perde il protagonista Jack (Jack Nicholson). Nel labirinto lo spazio e il tempo si confondono; nel cinema lo spazio diventa simbolo del tempo.

Ancora, la natura è vista come un’insidia, una lusinga che attrae e ottunde i sensi in una pericolosa lascivia, in Picnic ad Hanging Rock, film d’esordio del regista australiano Peter Weir.
La storia, ambientata ai primi del ’900, racconta di una innocente gita all’aperto di un gruppo di ragazze di un collegio, accompagnate da due istitutrici. Dall'ambiente civilizzato della scuola, con le sue gerarchie, limitazioni e regole di comportamento, la compagnia si immerge nella natura vitale e selvaggia dell'Australia, prima accogliente e calorosa – le ragazze si abbandonano all'abbraccio dei prati in fiore - poi sempre più minacciosa e inquietante, sullo sfondo della formazione rocciosa di Hanging Rock, il cui potere magnetico ferma gli orologi e condiziona l'inconscio dei personaggi. Ogni componente della messa in scena –la fotografia di Russel Boyd con un velo messo sull’obbiettivo, per ottenere un ‘effetto sfumato’, le frequenti riprese dal basso dell’aspra formazione rocciosa, l'accompagnamento sonoro del "flauto di pan" di Gheorghe Zamfir– tutto converge verso la realizzazione di un immaginario opprimente e angosciante, dominato da Hanging Rock, luogo misterioso e simbolico, tra il sogno e la realtà.

Arte, inconscio e natura che trovano il loro culmine nel “giallo barocco” di Peter Greenaway, Il mistero dei giardini di Compton House (The Draughtsman's Contract, 1982), dove il giardino diviene protagonista e non più solo sfondo di ambientazione.

Shining


Un film sulla memoria riempie il passato di luce e colori; così può accadere che una scena sia inondata di fiori.
In Ogni cosa è illuminata (Everything is illuminated, 2005), di Liev Schreiber c’è una scena del campo di girasoli, passata anche sulle locandine. Il film è tratto dal romanzo di Jonathan Safran Foer ed è una perla di produzione a budget ridotto che, malgrado abbia dovuto tagliare un'intera parte della vicenda, riesce a rimanere fedele allo spirito del libro.

In Big Fish, film di Tim Burton del 2003, il giovane protagonista Edward (Ewan McGregor) conquista la donna della sua vita non con un banale mazzo di fiori, ma facendole trovare sotto la finestra un intero campo di narcisi.

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(Venerdì 2 Maggio 2008)


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