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Un interessante film spagnolo

Poniente

Il posto dove nascono i nostri "pomodori pachino"


di Piero Nussio


È solo grazie alla rassegna cinematografica organizzata dall’Istituto Cervantes di Roma che ho potuto vedere il film spagnolo Poniente (2002), della regista Chus Gutiérrez.
Eppure era stato selezionato dal Festival di Venezia di quell’anno, anche se non aveva vinto premi. Ne ha vinti altri, in Messico e in Francia, ma niente di particolarmente rilevante. Come il film stesso, che dal punto di vista della tecnica cinematografica e del racconto, non si può definire “rilevante”.

Ma un film non vale solo per i valori cinematografici o per la tecnica di regia, anzi –nella maggioranza dei casi- il valore principale di un’opera e la sua “rilevanza” riguardano i temi trattati e la funzione di comunicazione.
Poniente racconta al pubblico nazionale ciò che molti spagnoli avevano già saputo dal telegiornale qualche tempo prima,ossia di un tragico raid compiuto da estremisti locali ai danni di una folta comunità di lavoratori extracomunitari, con incendi, feriti e morti. Ad un pubblico straniero lo stesso film narra di come un territorio di fame e di emigrazione (l’ovest dell’Andalusia) sia diventato in pochi anni “l’orto d’Europa” ed una calamita per tutti i braccianti stagionali provenienti dal nordafrica.

Più ancora che nel napoletano, nella famigerata Villa Literno dove i magrebini che raccolgono pomodori nei campi sono entrati nel mirino della camorra,la raccolta degli ortaggi ha bisogno di una grande manodopera a basso costo e scarsa specializzazione. L’impiego perfetto per le frotte di immigranti appena sbarcati dall’altra sponda del mediterraneo, meglio se non parlano la lingua e sono irregolari.


Meglio perché sradicati, chiusi in ghetti, e più facilmente ricattabili. Ricatto che, come nelle migliori tradizioni, è una lama sempre a due facce perché si esercita di preferenza nei momenti di maggior tensione. I braccianti stranieri chiedono una paga e delle condizioni di lavoro meno disumane, ed ovviamente lo fanno al momento della raccolta del prodotto, cioè quando la controparte si sente nel momento più delicato. Gli agricoltori europei, dal canto loro, si sentono stretti fra gli impegni finanziari presi con le banche e le rivendicazioni della manodopera, con il rischio di perdere il ricavo annuale e, causa i mutui, anche la proprietà delle serre.
Il potere finanziario delle banche, il ricatto dei compratori che –in epoca di globalizzazione- affermano di poter trovare altrove chi gli può fornire un prodotto analogo a prezzi ancora più bassi. Dall’altra parte del conflitto le giuste rivendicazioni della manodopera quasi schiavizzata, e comunque tenuta rigorosamente a distanza anche per motivi razziali e culturali, senza alcuna via d’uscita che non la rassegnazione supina o la ribellione aperta.
La violenza, come al solito, nasce però da parte padronale, da quegli “ultimi dei bianchi” che sentono minacciata quella loro “rispettabilità sociale” -da pochissimo tempo acquisita- da parte della marea montante del flusso migratorio.

Il “poniente almeriense”, ossia la provincia più ad ovest dell’Andalusia spagnola, sembra essere il luogo di massima concentrazione della conflittualità. Un paesaggio sabbioso e riarso, caldo e asciutto ai limiti del deserto, che è stato il luogo perfetto dove ambientare i “paesaggi lunari” di 2001 odissea nello spazio (Kubrick, 1968), Per un pugno di dollari (Leone, 1964), Indiana Jones e l’ultima crociata (Spielberg, 1989). E, mentre le troupes cinematografiche utilizzavano il deserto spagnolo, gli abitanti andalusi emigravano nel resto d’Europa, discriminati dalle popolazioni “più bianche” dell’Europa continentale.


Fino a che, consumismo e apertura dei mercati agricoli non hanno convertito la zona in “orto d’Europa”: la gran calura che rendeva difficile vivere e coltivare, sposata con la tecnologia delle serre e dell’irrigazione a goccia, ha reso possibile far crescere primizie orticole, pomodori tutto l’anno e cocomeri a Natale, come ben sa chi frequenta oggi i supermercati.
Il “poniente almeriense”, da terra di emigranti, è diventato luogo di immigrazione, specie per i magrebini che devono fare ben poca strada, per arrivarci dall’altro lato delle “colonne d’Ercole”. Come racconta un personaggio del film, è anche una strada ben conosciuta, giacché in antico quelli erano i “regni moreschi”.

Ogni metro di terra si è convertito in serre: la foto satellitare della provincia è più significativa di qualunque descrizione: tutto il terreno completamente bianco, il colore del «mar del plastico», ossia del biancore dei teli di plastica che coprono le serre.


Due dei personaggi del film lottano per la proprietà di un ettaro di terra: la decisione del giudice scatenerà tremende conseguenze perché il piccolo appezzamento di terreno, sfruttato intensivamente, può fare la ricchezza di una dei due contendenti. È il male di una società che riesce a convertire in drammi tutti i benefici tecnologici ed i progressi nella coltivazione, che della libertà di commercio ha fatto una sciagura e del piacere delle primizie una maledizione biblica.
Poco importa allora se il film non è un capolavoro di recitazione (ha l’aria e gli interpreti di una fiction televisiva), e se l’approfondimento psicologico dei personaggi lascia alquanto a desiderare. È un film da vedere comunque, per le sue tematiche e per quanto è emblematica la situazione raccontata. Se l’Europa esiste, questi sono i problemi comuni a tutti noi, ed è bene che li approfondiamo con qualunque mezzo. Ma poi, i temi del film sono ancora più generali, e riguardano tutti gli aspetti del nostro modello di sviluppo, e le crepe che mostra da ogni parte.
Se vogliamo uscire dalla crisi generale che ci colpisce, sono questi gli aspetti da analizzare, o quantomeno da comprendere in maniera approfondita. Ed allora un plauso va fatto all’Istituto di cultura spagnola che ci ha fatto conoscere la pellicola, e ci ha permesso di discuterla insieme.


Poniente
Spagna, 2002
Regia di Chus Gutiérrez
Soggetto e sceneggiatura: Chus Gutiérrez e Icìar Bollaìn
Interpreti: Cuca Escribano, José Coronado, Farid Fatmi



(Mercoledì 18 Marzo 2009)


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