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La storia di Siani, l’unico giornalista ucciso dalla Camorra

Fortapàsc

Marco Risi azzecca un film di denuncia civile


di Roberto Leggio


Ci sono giornalisti impiegati e giornalisti giornalisti. I primi sono quelli che si nascondono dietro la notizia e pensano ad arrivare a fine mese, senza dire e fare nulla che possa compromettere il loro mestiere e la loro vita. I secondi sono quelli che vanno alla ricerca della notizia, quelli che rimestano nel torbido, che vanno a fondo delle cose, anche se queste “cose” possono andare contro qualcuno esponendosi di persona. Giancarlo Siani era uno di questi. Un giornalista giornalista che con le sue inchieste sulla Camorra e i connubi con lo Stato, finì ucciso con dieci colpi di pistola in una notte di fine estate. Fu l’unico giornalista ammazzato dalla Camorra e quindi un martire di prima linea. Siani aveva 26 anni compiuti da poco e aveva la stoffa da cronista d’assalto navigato. Un “praticante abusivo” (come amava definirsi) della carta stampata, con il fiuto e la vista lunga, che ogni giorno scendeva guerra con il mondo corrotto e violento che lo circondava. Torre Annunziata, propaggine di una Napoli “aliena”, roccaforte dei clan.



Il film narra della sua vita di giovane idealista, delle sue inchieste, dell’amore per il suo lavoro (quello che dovrebbe informare e aprire gli occhi) e per la sua ragazza. Ma è un biopic in senso stretto, in quanto racconta gli ultimi quattro mesi della sua vita, i più cruciali, quelli nei quali si “permise” di indagare sulle famiglie camorristiche in lotta e gli interessi sulla pioggia di miliardi per la ricostruzione del dopo terremoto del 1980. Venne messo a morte nei giorni successivi la pubblicazione su Il Mattino, di un suo articolo sull’arresto del boss Valentino Gionta, tradito dal suo alleato Nuvoletta. Narrato con semplicità, il film di Marco Risi, riprende le fila di quel filone di denuncia sociale, del cinema italiano di qualche anno fa. Gomorra è lontano anche se sembra un suo prequel. Sono passati venticinque anni, ma la guerra è la stessa. Si parla di Siani ed in filigrana di si allunga la figura di Roberto Saviano. Anch’egli sceso in guerra con i clan, anch’egli poco meno che trentenne, anch’egli condannato a morte, per il semplice fatto di aver messo sulla bocca di tutti le trame del “sistema”. A dare corpo al giovane Siani è Libero di Rienzo, in una delle sue migliori interpretazioni, che ha accettato il ruolo per la “forza emotiva” della vicenda. Ma l’elemento più convincente è l’analisi di una città (Napoli, ma forse tutt’Italia) sotto assedio. Perché sebbene le parole scritte siano di pietra, la battaglia è ancora lunga da combattere.


giudzio: * * *



(Martedì 24 Marzo 2009)


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