 In Heath Ledger Memoriam Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il Diavolo Opera visionaria, kitsch, barocca e volutamente psichedelica
di Roberto Leggio Esageriamo un raffronto. Terry Gilliam sta alla Pop Art, come LSD sta agli anni ’70. Non è un paragone così esagerato, se pensiamo che qualsiasi opera del regista americano (spesso però scambiato per britannico per i suoi trascorsi con i Monty Python) è sempre un viaggio trascendentale, talmente visionario da non potersi ascrivere a nessun altro genere. Non è da meno Parnassus, ultimo film in ordine di tempo e ultimo palcoscenico per Heath Ledger, morto proprio nei giorni delle riprese. Ed è proprio da questo punto che l’opera assume valore demiurgo di film visionario, barocco e psichedelico. Perché Gilliam, per non rinunciare al lavoro in corso, ha deciso riscrivere la storia sostituendo Ledger (nelle scene mancanti) da Johnny Deep, Jude Law e Colin Farrel.

Ciò accade grazie allo specchio “magico” situato su uno sgangherato carrozzone da spettacolo da strada, che attraversa senza meta le notti fredde di Londra. E’ “magico”, perché è collegato direttamente con la mente karmatica e trascendentale del dottor Parnassus, millenario monaco buddista che sconfisse il diavolo per l’immortalità e vi rinunciò per amore. Adesso, ai giorni nostri Mister Nick (Belzebù, insomma) è tornato per ritirare il sospeso, ma tra i due è nuova sfida: cinque anime da sedurre e portare dalla loro parte… Se vincerà Parnassus, sua figlia sedicenne non sarà tentata dal diavolo (e destinata ad una vita infernale). Tra i due litiganti arriva Tony (Heath Ledger), impiccato salvifico, imbonitore sapiente capace di cambiare volto e personalità ogni qualvolta varcherà lo specchio…

A questo punto tutto l’immaginifico di Terry Gilliam prende forma. Paesaggi fiabeschi, mondi paralleli, viaggi “proibiti” e subcoscienti. Niente è lasciato al caso, come nulla è così improbabile come il probabile. Il regista tiene le fila di un grande teatro visivo, di nani e ballerine, angeli e demoni, innamorati e presunti tali. Ma forse è troppo, perché alla fine la meraviglia rischia di diventare stucchevole. E non è certo merito degli attori (tutti bravissimi anche a giocare sull’effetto “straniante” di cambiare voce e corpo all’amico scomparso). La vulcanica fantasia di Gilliam per una volta straborda diventando così sovraccarica da creare un cortocircuito creativo. Magia per gli occhi e per la mente… Un po’ meno per lo spirito.
Giudizio **1/2

(Martedì 27 Ottobre 2009)
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