 Ganster’s Story, iperrealista e antiromantico Nemico pubblico Sfida infernale a colpi di mitragliatrice
di Roberto Leggio Da quanto tempo non si vedeva un ganster movie degno di questo nome? Saranno almeno quarant’anni, dai tempi di Ganster’s Story. O forse da meno. Sempre molto comunque. Anche perché riscoprire un genere che fece grandi Paul Muni e James Cagney, non è cosa da poco. Così in soccorso è venuto Micheal Mann, intenso regista di “uomini”, forse l’unico capace di rimettere mano al genere, riscrivendolo e attualizzandolo senza perdere il senso della tradizione. Lo vediamo subito dalle prime inquadrature, dove John Dillinger si infila in un carcere per liberare il suo “mucchio selvaggio”. La scena è veloce, girata con piglio documentaristico, quindi più realistica che artefatta.

Da lì in poi, Micheal Mann fotografa la normale “vita spericolata” del bandito, che assegna colpi su colpi senza mai essere preso, diventando in brevissimo tempo (nove settimane, per l’esattezza) il Nemico Numero 1 della nuova FBI e nello stesso tempo un eroe da cinegiornale, amato dal popolino “sul lastrico”. Ma segue anche l’ascesa di J. Edgar Hoover come restauratore della polizia e di Melvin Purvis, il segugio che gli diede la caccia con un altro “mucchio selvaggio”, fatto di agenti senza scrupoli e dalla pistola facile. E’ un film di gangsters, ma sembra un western cruposcolare. Tuttavia è soprattutto un’opera di mitragliatrici, di buoni e di cattivi. Di media utilizzati all’uopo, di una epica che si infrange contro il modernismo. Di un criminale “raffinato” solitario (anche se coadiuvato da altri), Robin Hood della grande depressione, che rapinava le banche che a loro volta avevano “rapinavano” la gente comune, e di un poliziotto un po’ grezzo, dai metodi spicci, determinato ad incastrarlo. A vedere bene è il solito atipico film di Micheal Mann, dove la sfida tra due personalità forti finisce per essere la sfida della vita. Nessuno è buono e nessuno è cattivo.

John Dillinger (Johnny Deep) e Melvin Purvis Cristhian Bale),sono in qualche maniera la faccia della stessa medaglia. Ma più della nemesi dei personaggi è la resa “cinematografica” a rendere Nemico Pubblico, un capolavoro “anormale” ed iperrealista. Micheal Mann, infatti, si immerge talmente negli anni ’30, che sembra davvero di respirare quell’atmosfera. Girato in digitale, per rendere più realistico lo svolgimento dei fatti (anche se per motivi di narrazione molto è stato romanzato), il film cancella quella mitizzazione del personaggio che era stata perpetrata dai mezzi di comunicazione di allora. In questo senso Dillinger, è uomo senza futuro, un anacronista braccato dai tempi (la polizia usa tutte le nuove tecnologie per fermarlo), consapevole di percorrere una strada senza uscita. Lo si capisce benissimo nella scena finale, quando il bandito, vedendo l’ultimo film dalla sua vita, si immedesima in Clarke Gable, gangster finito sulla sedia elettrica. Il piglio è chiaramente antieroico, senza nessun romanticismo. Come dovrebbe essere stato per davvero prima di essere ucciso davanti a quel cinema. Che nel bene o nel male gli ha regalato una morte da star. Se non addirittura da leggenda.
Giudizio ***1/2

(Venerdì 6 Novembre 2009)
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