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 A proposito “2012” e di altre catastrofi La fine del mondo e i pop-corn Echi del nuovo film di Roland Emmerich
di Sandro Russo Si chiacchierava proprio qualche giorno fa con un amico, della civiltà etrusca, per essere lui un buon conoscitore dell’argomento e dei luoghi: «Le tombe del periodo arcaico di quella civiltà – diceva - sono gioiose, le pareti sono affrescate con giovani atleti ed eteree figure femminili danzanti, banchetti e libagioni. Quanto diverse dalle tombe del periodo della decadenza! Qui ambienti cupi, tristi, con demoni e senso di morte. A quel tempo, la supremazia degli etruschi cominciava ad incrinarsi, sia sul mare che per terra, fino alla completa perdita dell’autonomia nel 90 a.C.». Si diceva in quell’occasione di come le civiltà manifestino la paura della fine e l’insicurezza del futuro nelle forme dell’arte, prima ancora di esserne consapevoli. Con opere più o meno metaforiche.
Il ricordo e il senso di quella conversazione si sono focalizzati meglio, guardando l’ultimo film di Roland Emmerich da poco nelle sale, 2012: l’anno fatidico, secondo le profezie Maya, per ‘la fine del mondo come lo conosciamo ora’. Ma è un pensiero che viene da lontano. Se proprio si vuole risalire alle origini, il romanzo antesignano di tale genere letterario è L'ultimo uomo (1826) di Mary Shelley - scrittrice già misconosciuta ed esecrata all’epoca per il suo Frankenstein (1818) – dove il flagello responsabile della fine dell’umanità è una pestilenza. Non è da meno Jack London, con The scarlet plague (‘Il morbo scarlatto’, 1912) in cui è ancora un contagio ad annientare la civiltà.

Negli anni successivi gli esempi più notevoli vengono da quel filone della fantascienza cosiddetta ‘catastrofica’, con le sue radici remote nella II Guerra Mondiale e quelle più prossime nella paura della “Bomba”. È del 1951 un racconto di Robert Heinlein: The year of the jackpot; siamo agli inizi della Guerra Fredda e dell’incubo atomico. Qui - preannunciato da comportamenti aberranti degli esseri umani - è il sole a provocare la catastrofe. Il finale non è dei più consolanti, ma ha un suo fascino decadente: “Niente più Luna, ora che la Terra se n’era andata. Stelle, ma nessuno più a guardarle” Il tema ricorre e si amplia delle possibilità più fantasmagoriche – apocalittiche e post-apocalittiche - con altri Autori ‘storici’ della ‘science fiction’ (sf - in italiano fantascienza) e della ‘fantasy’; nomi del calibro di James G. Ballard, John Christopher, Richard Matheson, Philip K. Dick...

Il cinema, fin dai suoi inizi, non si è lasciato sfuggire il tema della catastrofe. Dai primi tentativi di spettacolarizzare la materia, con la La fin du monde (Abel Gance, Francia; 1931) tratto dall’omonimo romanzo di Camille Flammarion (1894); alla commedia-incubo con risvolti surreali di Stanley Kubrick (Il dottor Stranamore, del 1964); alla fantascienza sociologica rappresentata in ‘Soylent green’ - 2022, i sopravvissuti di Richard Fleischer (1973). È del 1962 un piccolo gioiello del cinema fantastico – La Jetée, di Chris Marker; un film atipico sia per la durata (28 min.), sia per la forma – che già nelle prime battute dà come avvenuta la terza guerra mondiale e da lì dipana una storia avvincente tra memoria e amore, passato e futuro.
In anni recenti anche la letteratura mainstream ha ripreso il tema con varie opere. Due tra le più recenti sono state trasposte in film, ancora non distribuiti in Italia: The Road di Cormack McCarthy (premio Pulitzer 2006) narra di un mondo degradato dopo una catastrofe imprecisata - freddo e inospitale -, in cui un padre e un figlio vagano alla ricerca di un sud dove sperano, ma non è certo, la vita sarà ancora possibile. Il film di John Hillcoat (2009), con Viggo Mortensen e Charlize Theron, è passato all’ultimo Festival di Venezia con lo stesso titolo: ‘The road’. Anche il meno recente ma sempre attuale romanzo di Josè Saramago, “Cecità” (1995), è diventato un film: Blindness (2008), di Fernando Meirelles, con Mark Ruffalo e Julianne Moore. Qui l’umanità è colpita da una forma di cecità – non buia, oscura, ma di un biancore lattiginoso - che spinge i non colpiti a relegare i contagiati in un ex manicomio, dove ha luogo una allucinante regressione a comportamenti e istinti primordiali; fino a che è l’umanità intera a diventare cieca.

Evidentemente le paure di fine millennio continuano a farci compagnia anche nel nuovo, se sono stati prodotti – ed hanno avuto grande successo - numerosi film su questo tema negli ultimi anni. Per citarne solo alcuni: - I figli degli uomini (2006) di Alfonso Cuaron – con Clive Owen e Julianne Moore - ambientato nel 2027, in un mondo che non può più procreare; - The Mist (2007), adattamento di Frank Darambont di una novella di Stephen King, permeato delle sue atmosfere da incubo; - Io sono leggenda (‘I Am Legend’, 2007), con Will Smith, diretto da Francis Lawrence basato sul romanzo omonimo di Richard Matheson (1954); il terzo adattamento cinematografico della stessa storia; - E venne il giorno (The Happening, 2008) scritto, diretto e prodotto da M. Night Shyamalan, altro maestro dell’inquietudine e dell’angoscia.
Sui motivi per cui la paura evocata dalla letteratura e dal cinema abbia un così grande potere di attrazione si possono proporre diverse ipotesi -catartiche e paradossalmente rassicuranti - in analogia con la funzione delle fiabe, che pure sono piene di mostri e di eventi terrificanti. Sta fatto che le catastrofi e l’orrore si continuano a descrivere e a rappresentare con grande partecipazione di pubblico. L’approccio al tema poi, in relazione a sensibilità e attitudine personali dell’Autore, può dare risultati del tutto contrastanti: un quadro fosco e disperato oppure un registro spettacolare con la speranza di un nuovo inizio. Con tale background – utile ma non indispensabile - siamo andati a vedere il film di Emmerich, e l’abbiamo apprezzato.

Roland Emmerich, ‘tedesco di Germania’ (Stoccarda, classe 1955), presenta il suo primo film di successo, quasi amatoriale, da studente, nel 1984 al Festival di Berlino: Il principio dell’Arca di Noè (‘Das Arche Noah Prinzip’). Trasferitosi negli Stati Uniti inizia una serie di fortunate produzioni, a vario tema, ma con una preferenza per il filone catastrofico. Suoi grandi successi di pubblico, prima del film di cui stiamo parlando sono: Stargate (1994) che lo lancia nella grande produzione; Indipendence Day (1996); The day after Tomorrow (2004). Ma il suo Godzilla (1998) riceve due ‘Razzie Awards’ (una specie di Oscar al contrario): come peggior remake o sequel e come peggiore attrice protagonista a Maria Pitillo.
2012: il film muove da premesse scientifiche inappuntabili, comunque nell’ambito del possibile – come già ‘The day after tomorrow’ - nella migliore tradizione della fantascienza: una abnorme attività solare produce onde elettromagnetiche capaci di aumentare ad un livello critico la temperatura del nucleo centrale del nostro pianeta; come l’ebollizione dell’acqua nel forno a micro-onde, viene spiegato. Questa instabilità del nucleo mette in movimento le masse continentali con conseguenze – come ben vedremo – catastrofiche. In definitiva un impianto razionale, mentre la profezia Maya è servita solo per il titolo e da richiamo pubblicitario. Il film si sviluppa su situazioni e caratteri stereotipati – la famiglia americana, con padre separato che va a prendere i bambini per una vacanza, il magnate russo violento e senza scrupoli con amante al seguito, un presidente americano nero e buonista, con una vaga somiglianza ad un Obama invecchiato. Il tutto rappresentato tra avventure tese allo spasimo e colpi di scena, in bilico tra il film catastrofico vero e proprio, i film della serie 007 e lo stile slapstick tipo Questo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo. Il film decolla in realtà solo con l’inizio delle eruzioni e dei terremoti, con le improbabili gesta dei ‘nostri eroi’ per sfuggire al disastro e raggiungere le agognate ‘navi’, immense strutture che i potenti del pianeta hanno apprestato in tutta segretezza per salvare il salvabile. È il mito dell’Arca che ritorna in versione tecnologica. La spettacolarità del film è fuori questione e i risultati ottenuti dal regista e dai tecnici degli effetti speciali non dovrebbero essere sottovalutati. Il fatto che le immagini siano ottenute al computer non sminuisce, anzi dovrebbe moltiplicare l’apprezzamento per la visionarietà dell’Autore; per la genialità ad aver prima immaginato quegli scenari che poi un programma ha reso così simili ad una realtà possibile.

Giunge notizia di un grande successo di pubblico per questo film; gomito a gomito per il record di incassi con il secondo film della saga dei vampiri (Twilight. New moon), che sta attirando torme di adolescenti. Abbiamo visto il film in una sala fuori Roma (zona Castelli). Anche qui code di giovani, poco più che ragazzi, all’esterno del cinema e al botteghino, e grande partecipazione durante lo spettacolo, anche se inquinata dal profumo dei pop-corn. Brusìo in sala al crollo del cupolone di S. Pietro (pare sia stata eliminata una scena simile per la pietra nera della Mecca per paura di una fatwa); franche risate alla notizia che il Presidente del Consiglio italiano – una nota comica involontaria, o premeditata? - ha rifiutato di mettersi in salvo insieme agli altri vip e ha scelto di perire insieme al suo popolo. Il pubblico in sala si gode - a ragione - il film come un super-videogame, con lo slalom dell’aereo tra i grattacieli, la tensione spasmodica, immersioni subacquee inverosimili, i salvataggi all’ultimo secondo nella tradizione del migliore James Bond. Senza alcun pensiero né partecipazione umana alla catastrofe che coinvolge milioni di persone: in quel contesto davvero assimilabili alle pedine di un videogioco. Che forse – chips, pop-corn e burp da Coca-cola a parte - è il modo migliore per guardare il film.
(Domenica 22 Novembre 2009)
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