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Le borgate di Pasolini sono diventate più feroci e cialtrone

Confessioni di una mente criminale

Dal 19 al 24 gennaio al Teatro Belli di Roma


di Piero Nussio


Come sarebbe stato un film interpretato da Vittorio Gassman e diretto da Emir Kusturica? Chi volesse farsene un’idea può vedere, a teatro, Confessioni di una mente criminale, che è stato ricavato a partire dal romanzo omonimo di Danilo Pennone.

E questo non solo perché il protagonista Alfredo Angelici somiglia fisicamente al grande Vittorio Gassman, ma perché lo ricorda nel modo di recitare, nel piglio con cui affronta la materia, nella maniera “cialtrona” e al contempo drammaticamente forte di rappresentare l’ambiente e il personaggio.

E, come Gassman, è mattatore che resta sempre in scena in un confronto serrato col pubblico, è un po’ gigione quando approfitta delle battute che gli tornano dalla sala per improvvisare a soggetto, è grande interprete quando sa utilizzare con uguale capacità le corde basse dell’umorismo, quelle alte della lirica, gli stop-and-go della nuova recitazione, il mimo e il canto.
È mattatore perché protagonista assoluto, autore dell’adattamento teatrale del romanzo, perno centrale di una commedia-dramma che rende un tema difficile e pesante, ma non si dimentica di divertire il pubblico, di tenerlo sulla corda, di affascinarlo.


Il regista Marcello Cotugno, cui spetta il merito di aver saputo amalgamare la personalità preponderante del protagonista con gli altri interpreti principali, dirige ispirandosi espressamente ai modi e temi di Quentin Tarantino ma in realtà ricostruisce gli ambienti e le modalità espressive più proprie di Eumir Kusturica.
Tarantino è regista della follia metropolitana, degli ambienti di killer sconclusionati quanto “produttivi” nelle intenzioni criminali. Kusturica, più vicino a noi anche geograficamente, crea i suoi personaggi facendoli uscire dalla loro madre terra, con tutto l’humus e il letame che li circonda e li fa crescere. La musica, poi, è levatrice sia nelle opere del regista serbo che nella piece orchestrata da Cotugno.

Se poi aggiungiamo il “bar dello Zingaro” dove si svolge tutta la vicenda, lo zingaro –il cui modo di parlare è magistralmente imitato da Angelici- con cui è fuggita la madre del protagonista, lo zingaro incontrato in carcere, allora l’identificazione con i film di Kusturica è totale.
Totale soprattutto per il continuo contraltare alle parole dato dalle musiche che suonano in scena Cric, Capellino e il Molisano –La banda del Sorcio, il protagonista- con gli strumenti della nostra tradizione: chitarra, mandolino e fisarmonica. Quando poi, nel finale, si aggiungono tromba e violino viene quasi l’invidia di aver assistito “solo” a una commedia, e non pure a un concerto.


“Solo una commedia”, perché per quanto efferato possa essere l’ambiente ed i fatti raccontati, c’è un’aria romana che Tarantino non potrà mai riprodurre: la tremenda cronaca della banda della Magliana è piena di sangue e orrori, ma il particolare barocco del capobanda sepolto in una tomba monumentale di una basilica romana aggiunge quel tocco di arte surreale che solo Roma riesce a dare.
E la banda del Sorcio è certo di serie B rispetto all’elite della malavita, ma sangue, morti e rapine ci stanno lo stesso.
Si muore comunque, pure se a rapinarti è una banda di serie B, e la vita è infame comunque pure se tu sei solo una mente infelice che ambiente e borgata rendono criminale.


Dal 19 al 24 gennaio al Teatro Belli di Roma.



(Venerdì 22 Gennaio 2010)


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