 Come il recupero della memoria diventa un’opera di poesia L'uomo che verrà Il film di Giorgio Diritti premiato all’ultimo Festival di Roma
di Sandro Russo Non è facile fare film sulla guerra; l’esito è noto e le immagini creano un orrore ‘anamnestico’, un rigetto che richiama tutti gli altri strazi già visti in precedenza. Tanto più delicata, a maggior ragione, dovrà essere l’opera del regista - il suo sguardo, la sua pietas - ai fini del risultato finale; dell’emozione che passa allo spettatore.
Si era già fatto notare Giorgio Diritti al suo film di esordio: Il vento fa il suo giro (2005); caso anomalo di cinema indipendente venuto a conoscenza del grande pubblico per effetto di un passaparola tra appassionati. La storia – recitata in occitano, francese e italiano, con sottotitoli – racconta dell’arrivo di uno straniero, della sua famiglia e del suo gregge in una piccola comunità montana dell'Alta Valle Maira, in provincia di Cuneo; del suo iniziale inserimento e della successiva esclusione. La piccola storia conchiusa, una parabola sulla diversità, l’uso del dialetto e una splendida fotografia della montagna, sono i punti di forza del film.
Nel suo secondo film, L'uomo che verrà (2009), Giorgio Diritti torna tra la gente della sua terra natale. Braccianti che parlano un bolognese antico, quasi estinto, e che hanno volti (attori professionisti e non) su cui sono incisi i segni della fatica e le pieghe del tempo. Il dialetto usato nel film è, oltre che una scelta di realismo, un modo per entrare nell’anima del luogo, far sentire il salto del tempo; la distanza di un mondo in cui il rapporto con le parole è diverso, così come il modo di sentire e di agire. Il film è stato premiato al Festival internazionale del Film di Roma 2009: Marc'Aurelio d'Oro del pubblico al miglior film e Gran Premio della Giuria Marc'Aurelio d'Argento.

C’è la "Storia" e poi ci sono le storie. In film come L’uomo che verrà può essere ancora più interessante del solito seguire il modo in cui si connettono, si allacciano e si disgiungono, per arrivare di nuovo, come dopo una lunga corsa affannosa, a sovrapporsi nel finale. Come si legge nei titoli di coda del film: “I personaggi del film sono immaginari, i fatti rappresentati sono reali”. È una ricostruzione dei fatti avvenuti in località Monte Sole, una trentina di chilometri a sud di Bologna a fine estate - inizio autunno del 1944: l’impatto della "grande guerra" su una piccola comunità rurale, che ha già i suoi problemi di sopravvivenza: la povertà, il freddo, il terreno difficile da coltivare, il mal sopportato controllo da parte del regime fascista.
La storia del film inizia alcuni mesi prima, nell’inverno del ’43. È un racconto dal basso, dalla parte della gente dei campi, di cui sono evidenti, nell’accurata ricostruzione ambientale, gli aspetti della vita quotidiana, i gesti lenti e sapienti, gli oggetti di uso comune. Inquadrature, luci e poesia dell’immagine di cui già il regista –affiancato da Roberto Cimatti alla fotografia- aveva dato prova nel suo film precedente. È la sapienza antica dei gesti, una ricostruzione d’epoca e un’ambientazione contadina estremamente accurate. L’altro aspetto di rilievo è il dialetto, con la sua musicalità intrinseca, anche qui sottotitolato. Una scelta di stile e un’ulteriore pennellata di verismo alle immagini.

In questa piccola comunità, il regista sceglie di raccontare la storia dal punto di vista di Martina (l’intensissima esordiente Greta Zuccheri Montanari), una bambina di otto anni che ha perso la parola da quando un fratellino di pochi mesi le è morto tra le braccia. Adesso la mamma Lena (Maya Sansa) aspetta un altro figlio, il papà (Claudio Casadio) non pensa che a lavorare e la vita sembra riprendere. Ma arriva la guerra. I tedeschi all’inizio appaiono gentili; vanno a comprare i prodotti dai contadini e li pagano. Ma la minaccia incombe. Il racconto è cadenzato nei nove mesi dell’attesa del bambino "che verrà"; le stagioni e i colori della natura si susseguono, tra i piccoli eventi di cui è fatta la vita della comunità rurale. Martina fa le sue esperienze e sta a guardare -di lato, sempre un po’ discosta– gli eventi che succedono nel mondo dei grandi. Anche i tedeschi, che fa fatica a comprendere: «Io non so perché sono venuti e non sono rimasti a casa loro, con i loro bambini».
Intanto nei boschi circostanti si è costituito, quasi spontaneamente, un gruppo di resistenti armati –parenti e amici della stessa gente della zona- che comincia a compiere isolate uccisioni tra gli invasori; azioni di disturbo che il comando tedesco vuole eliminare. Specialmente adesso - nell’estate-autunno del ’44 - che l’andamento della guerra sta cambiando. Al tempo giusto, il bambino nasce. Proprio negli stessi giorni in cui i tedeschi portano a compimento la loro campagna di rastrellamento nella zona. Qui i fili della Storia e delle storie si devono ricongiungere, e sarà la piccola Martina a mantenere in vita la speranza, tra tanta distruzione.

Il film non lo dice, ma è un periodo in cui il vento della guerra sta cambiando. Dopo lo sbarco in Sicilia (9-10 luglio 1943), l’Italia è riconquistata dall’esercito anglo-americano che sta risalendo la penisola verso Nord. Il bombardamento di Roma (S. Lorenzo) da parte degli anglo-americani è del 19 luglio del ‘43. Roma è dichiarata unilateralmente "città aperta" nell’agosto del ’43 e tale rimarrà per almeno dieci mesi (fino all’arrivo degli anglo-americani nel giugno ’44). L’attentato di via Rasella e la rappresaglia delle Fosse Ardeatine sono del 23 e 24 marzo del ’44. Lo sbarco di Anzio era avvenuto in un arco di vari giorni alla fine del gennaio ’44, ma la via verso la capitale è difesa ad oltranza ai tedeschi e la liberazione di Roma avverrà solo quattro mesi e mezzo più tardi, il 4 giugno del ’44. Nell’estate del ’44 i tedeschi, che hanno anche liberato Mussolini e lo hanno posto a capo della cosiddetta "Repubblica di Salò", sono attestati sulla cosiddetta "linea gotica" (da Massa Carrara a Pesaro). Ancora mantengono il controllo di parte del Centro e del Nord d’Italia, e sono più che mai determinati all’eliminazione di sacche di resistenza nel territorio che occupano. È il periodo in cui vengono effettuate le stragi più efferate contro la popolazione civile, spesso senza un reale intento strategico, di pura rappresaglia per una situazione che cominciava a sfuggire – o era già sfuggita - al loro controllo. Il 6 giugno del ’44 avviene lo sbarco in Normandia.

La strage di S. Anna a Stazzema – argomento anche del film di Spike Lee Miracolo a S. Anna (2008) - è del 12 agosto 1944 e causa 560 vittime civili. Gli eccidi di Monte Sole - rievocati nel film L'uomo che verrà e noti come "La strage di Marzabotto", dal maggiore dei comuni colpiti - sono compiuti tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 e coinvolgono circa 770 persone.
La fine della guerra in Europa arriverà solo l’8 maggio del ’45, con la resa incondizionata della Germania firmata dal feldmaresciallo Keitel nelle mani del maresciallo Zhukov comandante dell’Armata Rossa, che aveva occupato per prima Berlino (Hilter si era suicidato il 30 aprile del ‘45). "La Giornata della Memoria" rievoca invece la data del 27 gennaio 1945, giorno in cui l’Armata Rossa, che attraversava la Polonia in rapido avvicinamento verso Berlino, si era imbattuta nel campo di concentramento di Auschwitz e aveva liberato i pochi prigionieri che i tedeschi vi avevano lasciato, dopo aver distrutto il possibile. Quindi a guerra non ancora finita.

Nel film L'uomo che verrà, come in molti altri di ispirazione storica, le storie dei personaggi fanno voli e giravolte, si librano e si posano ancora, prima dell’appuntamento fatidico con la grande Storia; quest’ultimo sì, fisso e ineludibile.
(Lunedì 1 Febbraio 2010)
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