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La guerra sbagliata della “democrazia”

Green Zone

Adrenalinico, pirotecnico e molto "veritiero"


di Roberto Leggio


La guerra è sempre sbagliata. Non si sa mai chi la inizi e se poi alla fine, chi vince, sia davvero dalla parte del giusto. La seconda guerra del Golfo (quella di Bush figlio a posteriori dell’undici settembre) è per gli americani, la guerra più ingiusta ed inutile (dopo il Vietman), che abbiamo (e stiano) combattendo. All’inizio c’è stata l’idea di sradicare il male del terrorismo dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Poi si è subito aggiustato il tiro dicendo che nell’Iraq di Saddam ci fossero siti di armi per la distruzione di massa. Quindi l’invasione del paese mediorientale era più che giustificata. Via le armi, via l’eventualità di altri attacchi sterminatori, come quelli che avvennero con l’uso di gas nell’eccidio dei curdi nel 1989. Così dopo un mese di bombardamenti, combattimenti sul campo, morti civili, l’Iraq (Baghdad per l’esattezza) è stato bonificato con l’esercito fedele a Saddam in rotta. Il problema che le truppe inviate sul posto a cercare e distruggere i siti con le armi chimiche (od altro), non hanno mai trovato niente di simile. Perché?


Semplice. Le armi di distruzione di massa era solo un pretesto per poter “esportare” la democrazia in un paese comandato da un despota. Da questa premessa prende avvio il film di Peter Greengrass, con Matt Damon, un colonnello spedito a cercare e bonificare i siti prima che a qualcuno venga in mente di usarli contro l’esercito americano, o peggio contro Israele o chissacchì. Dopo il terzo tentativo andato a vuoto (magazzini spesso “spogli” da anni) al colonnello vengono un paio di dubbi atroci: è possibile che l’intelligence abbia preso delle enormi cantonate e che la strategia di guerra adottata dagli States si basi su una serie di bugie finalizzate ad avere il controllo totale del paese? Così, cellula impazzita in un paese allo sbando (e sull’orlo di una guerra civile), si mette in testa di vederci chiaro. Quello che scoprirà e che i veri cattivi non sono quelli che il suo esercito è andato contro, ma lo stesso governo degli Stati Uniti. Mischiando realtà e finzione (alla base c’è un libro reportage di Rajiv Chandrasekarandal titolo Imperial Life in the Emerald City: Inside Iraq’s Green Zone) Peter Greengrass dirige un thriller di spionaggio pieno d’azione che schiaccia (troppo) l’occhiolino alla serie di Jason Bourne, tanto da sembrare in alcuni punti, una quarta parte dell’agente segreto smemorato inventato da Robert Ludlum.


Non ultimo il fatto che sia il regista che l’attore sono gli stessi. Ma eliminando le possibili assonanze, Green Zone, resta un robusto film d’intrattenimento con una storia che valeva la pena raccontare: i giochi di potere ed i biechi compromessi tra diplomatici e servizi segreti corrotti, per di mantenere l’Enduring Freedom nel paese mediorientale. Quello che forse non stupisce è che le motivazioni dello scoppio della guerra in Iraq, siano diventate di dominio pubblico, quasi subito dopo le famosa affermazioni di George Bush Jr, nelle quali asseriva che "la guerra era terminata e che la libertà era tornata in quel paese". Peccato però che a tutt’oggi l’esercito americano sia impantanato lì e che la stabilizzazione del paese è ancora lontana.

Giudizio **1/2



(Mercoledì 7 Aprile 2010)


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