 Il seppellimento prematuro di una "nazione" Buried Novanta minuti di tensione e paura dentro una bara
di Roberto Leggio Buio. Respiro affannoso. Poi la debole fiamma di un accendino Zippo illumina la scena. Un uomo legato ed imbavagliato giace supino in una cassa. Non gli ci vuole molto a capire che è sotterrato da qualche parte in Iraq. L’incipit fa parte della prima scena di Buried, opera interamente girata e vissuta all’interno di una “bara”, con un unico disgraziato protagonista. Li dentro, dopo essersi facilmente liberato dai legacci, egli cerca di capire come sia finito lì sotto e perché. Con l’aiuto di un cellulare, (lasciatogli apposta) con poca batteria, e una matita, tenterà di far giungere i soccorsi prima che la riserva d’aria di un’ora e mezza si esaurisca del tutto.

Claustrofobico, ansiogeno e altamente angosciante, Buried è un film con una sceneggiatura perfetta che meriterebbe l’Oscar a priori. Perché, sebbene, lo spazio ristretto, la storia si dipana estenuante e fisica con un’inevitabile immedesimazione con il pubblico. In quanto il senso di frustrazione del protagonista è così palpabile da farci sentire all’interno della sua “prigione” di legno. Rodrigo Cortes, il regista, sa comunque dosare la suspence, aggiungendo tensione a tensione, ansie e paure, permettendosi perfino il lusso di, in almeno un paio di scene, dare ampie speranze al “sepolto”, prima di farlo ricadere nella più profonda accettazione dell’inevitabile.

Ma oltre la sfida tecnica e scenica, il film è una possente accusa alla macchina guerrafondaia americana, colpevole di aver iniziato (e portato) avanti una delle guerre più insensate della storia. E Paul (un magistrale Ryan Reynolds), il giovane contractor, sopravvissuto ad un attacco “terrorista” e risvegliatosi in quella bara; attraverso il cellulare fa a pezzi l’amministrazione Bush e le multinazionali, che speculano sulle vite di giovani americani (soldati e non), mandati a morire per un pugno di dollari e per una gigantesca bugia. A veder bene, ad essere sepolto, non è solamente un uomo comune, ma un’intera nazione. Vittima di aver esportato sfrontatamente la democrazia…
Giudizio ****
(Mercoledì 13 Ottobre 2010)
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