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![]() Viaggio alla scoperta del “sangue” La donna che canta Capolavoro viscerale che lascia il segno di Roberto Leggio “L'animo umano è uno scrigno pieno di segreti”. Recita più o meno così un detto arabo, che può essere utilizzato come filo conduttore per raccontare la storia di Nawal, una libanese da anni integrata in Canada. Per diciotto anni ha fatto la segretaria ad uno stimato notaio e negli ultimi giorni della sua vita si è chiusa in un mutismo così integrale da farla morire. Alla lettura del suo testamento, i due figli gemelli Jeanne e Simon restano meravigliati a sentirsi dire che devono trovare un fratello (che non sapevano di avere) e un padre (che credevano morto) per consegnare ad ognuno una lettera sigillata. Solo allora potranno seppellire il corpo con onore, fino a quel momento solo coperto di terra e senza una lapide per ricordarne il nome. Se per Simon è solo un'ulteriore follia di una madre schiva e impenetrabile che ha dispensato pochissimo affetto; per Jeanne è un modo per ripercorre a ritroso la vita della genitrice. Così, con pochissimi indizi, parte alla volta del paese dei suoi antenati, andando alla scoperta del passato tragico di Nawal, dentro una terra martoriata da guerre, da lotte e da vendette fratricide. Gli Incendi del titolo originale sono quelli che hanno bruciato la vita di Nawal da giovane (l'amore per un palestinese ucciso davanti ai suoi occhi, la fuga dalla vergogna familiare, studentessa in piena guerra civile, carcerata e violentata per piegarne la personalità) e quelli che illuminano i viaggi, prima quello di Jeanne nella memoria, e poi quello di Simon che porterà a galla una verità sconvolgente. Diviso in capitoli ben scritti in rosso (come il sangue che lega i vincoli dei protagonisti) è narrato su due piani narrativi che creano una sorta di eredità ineluttabile. Perché, come recita la battuta “la morte non è mai la fine di una storia”, tutto poi prima o poi ritorna, gonfio com'è di tragedie e misteri. La forza del film è in quella voglia di andare contro il tempo, per ripercorrere la memoria, magari cercando di dare un senso ad una verità assoluta. Infatti, il succo della storia è tratta da un'acclamata piece teatrale di Wajdi Mouawad (libanese fuggito dalla sua terra a causa della guerra civile) che il regista Denis Villeneuve tratta con impagabile visceralità. Un'opera che lascerà il segno, capace com'è di entrare direttamente nel cuore degli spettatori. Soprattutto per il finale, sconcertante (e dolce assieme) che resterà nella memoria per sempre. (Venerdì 21 Gennaio 2011) |
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