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 Incontrato in occasione dell'uscita del DVD di "Un altro mondo" Silvio Muccino "Continuo a cercare storie da portare sul grande schermo"
di Marco Lucio Papaleo  Roma. Presso la Feltrinelli Libri e Musica di Via Appia Nuova abbiamo incontrato Silvio Muccino nell'occasione della presentazione del DVD del suo ultimo film Un altro mondo, uscito nelle sale cinematografiche lo scorso Natale con straordinario successo. La versione home video della pellicola è in vendita dal 20 aprile distribuita dalla Universal. L'attore/regista ha accolto le domande dei fan e approfittato dell'opportunità per raccontare alcuni interessanti retroscena della lavorazione del film, oltre che il suo attuale rapporto con il mondo del cinema. Inoltre, abbiamo potuto rivolgergli alcune domande in esclusiva:
Quale legame ha con questa sua ultima opera? «Un altro mondo è per me un film assolutamente speciale. Speciale per un motivo molto semplice: gli incontri che mi ha permesso di fare, e che hanno segnato in assoluto il mio rapporto col film. Per primo abbiamo Michael, il bambino-fenomeno, straordinario, trovato dopo mesi e mesi di interminabili e difficili casting, come un segno del destino. È lui il vero protagonista del film: un bimbo che rimanda al protagonista la sua stessa immagine di bimbo. È curioso perché Michael è esattamente me a otto anni, e qui finzione e realtà si specchiano. Michael è un bambino con un talento straordinario, che ora si è messo in luce grazie a questo film e reciterà con Morgan Freeman in un film americano. La cosa in verità non mi stupisce minimamente, Michael ha una luce speciale.
Il film è girato in Africa, una terra particolare... Si, il mio secondo incontro è l'Africa, un paese che non conoscevo se non per un viaggio precedente in Marocco e i tanti documentari visti prima di partire. Ma tutta la documentazione che mi sono procurato non vale quanto ho percepito dal vivo. Il 'mal d'Africa' esiste davvero, e un motivo c'è. E non si tratta solo di bei paesaggi: per avermelo fatto capire devo ringraziare Gianfranco Morino, un medico italiano che ha fatto da consulente a Carla [Vangelista, la scrittrice del libro da cui è stato tratto il libro, NdR] che mi ha fatto scoprire la vera Africa, durante i sopralluoghi di location scouting precedenti le riprese. Lui mi ha portato all'alba negli slum. Al di là del degrado e della povertà, mi ha mostrato la parte umana e bella del paese, uomini e donne ben vestite che andavano a lavorare dignitosamente. Una dignità a cui non ero preparato, che mi ha fatto innamorare di quel paese e comprendere perché le persone decidono di vivere e lavorare per il bene dell'Africa. Spero di aver ben rappresentato quella dignità nel mio film.»
Con questo film ha cambiato cifra. Cosa sta cercando Silvio Muccino? «Sto cercando ancora la mia voce, in un certo senso. Voce che probabilmente non ho ancora messo a fuoco e onestamente spero di trovare il più tardi possibile. Perché una volta che l'hai trovata, forse, non hai poi molto altro da scoprire. Vengo da un cinema che è stato chiamato 'generazionale' e che mi ha dato un grandissimo successo perché usava delle storie in cui il riconoscimento da parte del pubblico è immediato. Secondo me il cinema generazionale ha un solo limite: dovendo essere una foto di una generazione ti permette di scendere poco in profondità. Dovendo parlare di più persone possibili non puoi scavare nel profondo, nel singolo, nel dettaglio.

Una scena di "Un altro mondo"
Lei ha fatto una scelta diversa... Si, come regista e sceneggiatore, ho fatto una scelta un po' diversa. Più che su una foto di famiglia voglio concentrarmi sul dettaglio, per scavare più a fondo. Personalmente amo quel tipo di film dove il personaggio all'inizio è zoppo, non riesce a correre, ma poi gli insegnano a farlo. Così può correre e infine vincere. Sono quelli i film che mi emozionano, perché parlano di voglia di cambiare. Parlano di prendere in mano la parte più fragile della nostra vita., cosa che ci permette di crescere. Non capisco perché spesso la gente ti augura “non cambiare mai!”. A me sembra più una riduzione, una condanna, che un augurio. Anzi, che le cose possano cambiare e rinnovarsi lo trovo meraviglioso, non cambiare è un errore. Le cose cambiano, cambio anch'io.
Il film parla anche d'infanzia e di come questa a volte condiziona il seguito della nostra vita... Si, Andrea, nella sua infanzia, ha vissuto un dolore, una ferita, che gli impedisce, di fatto, di amare veramente: Andrea è spento, ha interrotto ogni vera comunicazione. Ha scelto una vita in reazione, preferisce odiare, odiare, e ancora, passare la sua vita a odiare il padre, piuttosto che prendere in mano quel dolore, perdonare e vivere, rischiando davvero. Difatti ci vuole molto più coraggio a perdonare che a odiare. Andrea è in fondo un bambino di trent'anni, ma con l'arrivo di un bambino fisico, vero, prende coscienza del suo doversi prendere cura anche del suo bimbo interiore.
E' stato difficile recitare con un bambino? Dicono che recitare con in bambini sia la cosa più difficile: “non recitare mai né con cani né con bambini” è l'avvertimento più comune. Sono imprevedibili, ma soprattutto perché con loro non devi recitare, devi emozionarli, hanno bisogno di verità. E a quel punto ti fanno reagire meglio, Michael ci ha reso tutti migliori. Io ho sentito il bisogno di tenere tutto sotto controllo, eppure abbiamo dovuto improvvisare spesso per portare Michael a quei livelli di emotività.»
Cosa le da più possibilità espressive, il lavoro di attore o quello di sceneggiatore/regista? «Mah!Sto vivendo un attimo di confusione![ride] Sono due lavori molto diversi. Sono due lavori che hanno bisogno di una energia molto diversa, e richiedono un investimento emotivo molto diverso. Il lavoro dell'attore è un lavoro meraviglioso, che continuo ad amare ma che in questo momento in realtà non ha tutta la mia attenzione. Non l'ho interrotto, perché continuo a farlo… ma sono una persona che sta crescendo, che sta cambiando pelle. Sono alla ricerca di personaggi anche diversi. Il lavoro del regista e dello sceneggiatore invece ti obbligano ad investire, anche a livello di tempo, molte più energie, per cui sono due lavori completamente diversi. Il modo più sincero che ho per risponderti, probabilmente è che quello che cerco, quello che per me è fondamentale, è la storia. Quando scelgo un ruolo, un film, non guardo tanto a loro quanto alla storia. Quindi credo che continuerò a cercare storie, in un modo o nell'altro.»
A proposito del raccontare storie. In generale, ma anche nel caso specifico di Un altro mondo, si è ispirato a qualche regista in particolare? «No, no. Il primo film che ho fatto era quasi una citazione dopo l'altra. Questo film no, questa volta mi sono lasciato andare molto alla storia, a quello che volevo raccontare. Ho messo la macchina al servizio della storia.»
(Martedì 26 Aprile 2011)
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