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Western da camera tra la neve

The Hateful Eight

Condensato di generi: Tarantino al suo meglio


di Roberto Leggio


Sospetto e paranoia tra le nevi del Wyoming. Una diligenza corre tra la neve verso Red Rock, dove una prigioniera verrà portata alla forca. La accompagna “Il Boia” bounty killer che non ha mai sparato alle spalle a nessuno, ma che ha portato tutti i suoi ricercati all'impiccagione. Sulla strada vi sale anche il Maggiore Marquis Warren, cacciatore di taglie nero che ha servito l'Unione nell'appena terminata guerra civile. Ospitato con riserve dal “boia”, la diligenza si ferma ancora una volta per raccattare con scetticismo un ex rinnegato sudista promosso a sceriffo di Red Rock. Ma la tempesta infuria e i quattro sono costretti a trovare rifugio nell'emporio di Minnie, dove invece della padrona di casa li attendono quattro sconosciuti, ognuno con una ragione di trovarsi li. Mentre il sospetto e la paranoia sale alle stelle, la certezza di tutti gli otto di uscire vivi da quella situazione diventa sempre più flebile.


Concepito come un verboso thriller-western (all'inizio) e pieno di sangue poi, l'ottavo film di Quentin Tarantino (non fa mistero di ricordarlo perfino nei titoli di testa) è un pugno alla pazienza e allo stomaco dello spettatore. Spalmato in tre ore e passa, girato in un super 70mm per ampliare lo sguardo su tutti i personaggi “costretti” a studiarsi e a uccidersi nello stanzone di un emporio in mezzo alla neve e alla tempesta; è un'evoluzione del cinema del regista italo-americano, che attraverso una perfetta sceneggiatura “teatrale” re-inventa il western allontanandosi da Sergio Leone frullando gioiosamente Monte Hellman, John Carpenter e Agatha Christie. Otto piccoli (grandissimi) bastardi, che si portano appresso l'odore della morte, ognuno con una “valida” motivazione di trovarsi in quel palcoscenico che presto si insozzerà di sangue. Non si tratta di un film crepuscolare, anzi, tutt'altro. Riapre il genere al grande schermo, analizzando il west, come crogiolo di bastardi senza gloria in una nazione che non sarà mai, ahimè, tale. Tarantino parla di razzismo, di violenza subita e provocata, di pene di morte, di menzogne, di giustizia sommaria, di cupidigia, di lotta animale alla sopravvivenza a e alla sopraffazione. Rimescola carte e ritrova il pulsare di un cinema scordato ma mai dimenticato, riportandoci alla malsana attesa de Le Iene, alla violenza pornografica di Pulp Fiction, sfidando perfino l'horror anni '80, dove il sangue lorda i muri, i volti e le membra dei “cani da rapina” parchi nell'essere dannati. Tarantino la suo meglio, insomma.

Giudizio ****



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(Venerdì 29 Gennaio 2016)


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