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Nello spazio nessuno può sentirti urlare

LIfe - Non superare il limite

Il microrganismo “alieno” non è così pacifico come sembra


di Roberto Leggio


A bordo di una stazione spaziale internazionale, una squadra di astronauti entra in possesso di un campione organico proveniente da Marte. Il biologo del gruppo, certo di avere tra le mani la scoperta del secolo, fa interagire la minuscola cellula con alcuni elementi biologici. La “cosa” reagisce bene. Così bene da iniziare ad ingrandire ed avere una “coscienza” propria. Della vita che viene dallo spazio, viene festeggiata anche dai bambini sulla Terra che lo battezzano Calvin. Ma Calvin non è così innocuo e simpatico. Cresce e indisturbato uccide. Da quel momento in poi, la priorità non è più “gestire” un vita “aliena” e le sue possibili implicazioni, ma non farlo mai arrivare sul nostro Pianeta.


C'è vita su Marte. Ma c'è anche molto di Andromeda, il microrganismo caduto sulla Terra in un villaggio sperduto degli Stati Uniti capace di coagulare il sangue umano decimando istantaneamente tutta popolazione. L'idea del 1969 era di Micheal Chricton. Quasi cinquanta anni dopo la vicenda è ambientata nello spazio “dove nessuno può sentirti urlare”. E quindi si arriva ad Alien. Molto? Troppo? Il substrato di Life è un frullato di vecchie idee che si raggrumano in una stazione spaziale internazionale, che orbita sospesa sul pianeta Terra, sul quale nessun “elemento” extraterrestre deve arrivare; in quanto qualsiasi cosa “aliena” potrebbe portare all'estinzione del genere umano. La vita del nostro pianeta sopraffatta dalla “vita” del pianeta Rosso. Marte, prossima frontiera, da sempre sognata, immaginata, fantasticata e perché no: culla di un “possibile” mistero del sistema solare. Quel pianeta a noi vicino, ormai da qualche anno diventato ossessione della Nasa (nella realtà) e palcoscenico di molti (moltissimi) film di fantascienza (nella finzione cinematografica). Perché il suo fascino continua a alimentare la fantasia dell'uomo che brama “il grande passo” dell'umanità nel cosmo. Life assurge a tutto questo, portandoci anche a millesimare le implicazioni etiche e morali della scienza da sempre affamata di sapere. La scoperta che la vita possa esistere da qualsiasi altra parte che non sia il nostro pianeta, è di per se l'eventualità di non essere soli nell'universo. Così da smantellare ogni possibile idea filosofica e perché no, religiosa. Life, però è spettacolo. Nel vero senso del termine. L'azione è all'interno di questo incubatoio in rotazione sincrona con la Terra, dove per forza di cose (e per l'intrattenimento), la vita che viene dalle sabbie di Marte è portatrice del pericolo più estremo. Non ci sono i denti mobili e la corazza dell'Alien disegnato da Giger. Il microrganismo che diventa una sorta di polipo semitrasparente che si nutre di carbonio e azoto, che teme il freddo del cosmo, è l'elemento “possibile” che pur di sopravvivere è costretto a scontrarsi con la “vita” suprema evolutasi nell'unico pianeta per ora conosciuto capace di trattenere una biosfera attiva. Niente a che vedere con Kubrick e nemmeno con Tarkosky. Il film di Daniel Espinosa è intrattenimento da serie B. Così da sbeffeggiare con intelligenza il cinema alto, quello più intellettuale pur di arrivare ad un finale inaspettato e spiazzante.

Giudizio ***




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(Giovedì 23 Marzo 2017)


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