 Neo-noir più cupo ed allucinatorio dell’originale Blade Runner 2049 “Se noi umani potessimo vedere il miracolo…”
di Roberto Leggio California 2049. Sono passati trent’anni da quando gli androidi da battaglia Nexus 6 sono stati messi fuori legge. La terra nel frattempo è cambiata e dopo un blackout l’ha resa ancora più cupa e decadente. L’agente K della Polizia di Los Angeles, è uno degli ultimi Blade Runner rimasti ed è considerato il più bravo nel suo lavoro di cacciatore di androidi. Dopo aver ucciso un replicante, scopre un segreto sepolto da tempo che potrebbe far precipitare nel caos quello che è rimasto della società. La scoperta di K lo spinge verso la ricerca di Rick Deckard, un ex-blade runner della polizia di Los Angeles sparito nel nulla da 30 anni.

“Se solo potessi vedere con i tuoi occhi un miracolo…” Recita più o meno così uno dei dialoghi iniziali di questo film replicante di un cult. Lo sguardo e la comprensione umana o artificiale era ed è il motore di un noir di uomini e androidi, in un film che fece epoca ed adesso mira a diventare un classico. Denis Villeneuve, nel suo primo vero blockbuster (molto di più di The Arrival), rilancia il mito di una società andata “avanti” da avere così tanto mischiato gli esseri umani agli androidi, che alla fine solo gli ologrammi umanizzati possono avere il vero senso delle emozioni. E di emozioni, nel senso di raziocinio e passioni, in questo film ce ne sono tante. K, il Blade Runner, giovane e chiaramente androide, le prova da subito quando scopre che i famigerati Nexus 6 possono davvero essere “più umani dell’umano”. Lo stesso lo prova la sua ragazza ologamma e naturalmente anche Rick Deckard, tornato al “futuro” dal suo esilio volontario in una Los Angeles da dopo-bomba perennemente avvolta in una nuvola di polvere rossastra da sembrare un paesaggio marziano. Perché lo scopo di Villeneuve, tenendo fede all’ambientazione dell’originale, è di allargare lo sguardo fantascientifico di base espandendo ed esplorando più mondi “possibili”. Non è solo la pioggia a rendere il decadimento della società umana, recessa dopo un blackout in un luogo sospeso, ma lo è anche la neve (nelle due scene rivelatrici) e il quasi totale asservimento alla tecnologia. Che non è soltanto androide. Blade Runner 2049, su questo refrain, si sviluppa su accumuli di scene d’azione e di profonda introspezione, per giungere al grande quid della mitologia: l’iperumanizzazione dei Nexus 6, capaci di avere tra le loro mani l’avvenire della razza umana. Visivamente accattivante, maestoso e decadente, sorprende per l’accuratezza della fotografia, aumentando la fascinazione e la sorpresa che fecero del film di Ridley Scott (qui in veste di produttore e nume tutelare) un capolavoro assoluto. Più cupo ed allucinatorio assurge ad essere un ponte che getta le radici in qualcosa che potrebbe essere gravido di ulteriori e potenti snodi narrativi. E non sarebbe male se non dovessimo aspettare altri 35 anni per saperlo.
Giudizio ***

(Giovedì 5 Ottobre 2017)
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