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Gloria nera, potere bianco

BlackKklanman

Commedia poliziottesca blaxploitation contro ogni razzismo “bianco”


di Roberto Leggio


Colorado, anni settanta. Mentre negli Stati Uniti infuria la lotta per i diritti civili, Ron Stallworth è il primo giovane detective afroamericano di Colorado Springs. Accolto con ostilità e scetticismo dal dipartimento di polizia, il ragazzo cerca di farsi un nome per fare la differenza alla propria appartenenza razziale. Con testardaggine e un pizzico di lucida follia si infiltra sotto copertura con il suo collega Flip Zimmerman in una cellula del Ku Klux Klan, cercando di sventare i loro crimini. Con esilarante drammaticità i due penetrano nella cerchia più ristretta del gruppo venendo a conoscenza di un complotto mortale che porterebbe ad avere il consenso della comunità bianca.


“Dio benedica l’America!” Ma quale? Quella Wasp (dell’integralismo bianco) o quella del Black Power (orgoglio delle persone nere). Facendo un salto indietro di 40 anni durante le grandi tensioni sociali tra bianchi e neri, Spike Lee torna finalmente a parlare la “sua” lingua. Quella più vera e potente, materia magmatica del cinema dei suoi esordi; cioè quella del razzismo in America. Che non è mai morto, neanche dopo l’avvento di Barack Obama. BlackKklanman è un film tragicomico, o “commedia nera” verrebbe da dire, una satira sociale che affonda le radici dell’odio razziale e nella supremazia bianca. La storia, per quanto incredibile, è vera. Ed è quella di un poliziotto di colore che riesce ad infiltrarsi in una cellula del Ku Klux Klan,con l’intento di sventarne i propositi violenti. Un film d’altri tempi, ma che si ricollega all’America di oggi. Quella di Donald Trump che fin dalla campagna elettorale ha smodatamente urlato “Americans First” e “Make the America great again”. Un collegamento inquietante che termina a Charlottesville, con quelle immagini crude e reali dove un’auto lanciata nella folla contro la manifestazione antirazzista travolse e uccise l’attivista Hether Heyer di soli 32 anni. Un terrorismo interno, vergogna di un intero paese. Con piglio d’antan, Spike Lee dirige un poliziottesco blaxploitation con tanto di citazioni da Shaft e Pam Grier, mettendo in scena una dei suoi film migliori dai tempi di Inside Man. Ma non solo, la faccia sporca dell’America razzista (sempre serpeggiante in un paese mai pacificato), rende in(giustizia) a “Nascita di una nazione”, controverso capolavoro del cinema muto di David Wark Griffith; tra l’altro opera seminale per lo stesso Lee che, nonostante il tema “pesante”, lo portò come tesi universitaria. Le immagini crude e spietate di quel film (la nascita del Ku Klux Klan, la violenza gratuita nei confronti dei neri liberati) fanno da chiosa ai tempi attuali, malati di discriminazione razziale, violenti e innegabilmente “bianchi” come suggerirebbe l'attuale presidente americano, uno dei più deleteri e ignoranti di sempre.

Giudizio ***1/2



(Giovedì 27 Settembre 2018)


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