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La morte della poesia del Cinema

Bernardo Bertolucci ci ha lasciato

L’ultimo imperatore della settima arte


di Roberto Leggio


Roma – E’ difficile usare parole adatte quando un poeta del cinema internazionale muore lasciando un vuoto. Lo spazio è incolmabile. Ma è quello che resta al posto di Bernardo Bertolucci, deceduto oggi dopo una lunga malattia invalidante e letale. Il poeta del cinema non c’è più. E con lui scompare l’ultima propaggine dei grandi registi italiani che hanno portato lustro al nostro cinema nel mondo. Non dovrei farlo; ma la tristezza mi riempie il cuore in quanto Bernardo Bertolucci è stato un sorta di grande amico, avendolo conosciuto personalmente durante quelle sparute interviste che ho avuto con lui nel corso di questi 25 anni. Bernardo Bertolucci era un grande intellettuale, un poeta inimitabile, un ragazzo della buona società parmigiana, figlio d’arte di quella terra padana da sempre divisa tra nebbia e sole. Cresciuto e svezzato nella cultura di suo padre Attilio, poeta vero; di quelli che con la penna e la parola riusciva a domare i sentimenti; Bernardo Bertolucci fin da piccolo fu circondato dalla cultura italiana. Se non tutta, quasi. Pier Paolo Pasolini fu tra questi. Fu lui che, quando aveva solo vent’anni, capì la forza espressiva di questo ragazzo che sarebbe diventato il cantore di un cinema ancora tutto da scrivere. Un poeta della settima arte, come forse non c’era mai stato nessuno. Pasolini gli affibbiò la regia di un suo scritto: La comare secca. Un connubio che segnò il trionfo seminale di un nuovo regista. Nacque così Bernardo Bertolucci. Poeta dell’immagine. Molti film verranno in seguito. Analizzare le sue sedici opere, vorrebbe dire riempire pagine di aneddoti, di slanci d’amore verso questo regista della terra e della rivoluzione. Mi viene da citarne qualcuno. Forse i più importanti. Il Conformista è stato forse il suo film più personale. Tratto da Moravia con un grandissimo Jean-Luois Trintignant, storia di un uomo “qualunque” vittima e carnefice di un’epoca vorace e criminale come lo fu il fascismo. Ultimo Tango a Parigi, con il crepuscolare Marlon Brando e la conturbante Maria Schneider, destinata a diventare diva e bruciarsi la carriera per la scena del “burro”. Film amato dai cinefili, odiato dalla censura cattodemocristiana che lo volle al rogo, ed invece contribuì a farlo diventare un cult. Inimitabile.

La forza rivoluzionaria di Novecento, fu il passo successivo. Considerato dallo stesso Bertolucci “definitivo film ideologico”, Novecento segnò un capitolo necessario di una cinematografia in continua evoluzione, girato mentre nelle strade d’Italia si infiammavano nella guerra politica tra destra e sinistra. Con coraggio quasi sprezzante contro i moralismi dell’epoca, Bertolucci riempì lo schermo con una enorme bandiera rossa, a chiosa di una nuova “rivoluzione” inespressa e presto svanita di quegli anni ’70. In fondo un’utopia. Oltre ci sono i nove oscar de L’ultimo imperatore. Film americano in tutti i sensi (ma dall’anima europea), dove lo sguardo smarrito ed ingenuo di Pu Yi, ultimo imperatore della Cina feudale, si trova schiacciato tra Giappone e riabilitazione maoista, sottolineando l’involuzione di un “bimbo” costretto dagli eventi a non essere mai un uomo veramente libero. Poetico anche l’amore totalizzante de Il The nel deserto. Disamina di due amanti, alieni in terra aliena, in quel deserto del Marocco post bellico, dove entrambi si perderanno nonostante la protezione di un cielo azzurro divenuto ad un tratto buio. La luce, o il Nirvana, ha fatto da sfondo a Piccolo Buddha, giocoso romanzo religioso, di un bambino americano prescelto per essere il nuovo Dalhai Lama. Semicapolavoro spirituale per un regista ateo, ma aperto verso l’impermenza tibetana. Il cinema di Bertolucci non è mai stato scontato. Saldo fino all’ultimo, nonostante la sedia a rotelle che non gli ha più permesso di fare tutti i film che avrebbe voluto realizzare, andando magari oltre le proprie radici “rivoluzionarie”.The Dreamers è stato volente o nolente il suo omaggio al cinema di ieri (fiammeggiante) e quello di oggi (intimista). Ma anche a quegli ideali che tutti i giovani dovrebbero rincorrere. Fu il suo secondo film da camera. Tre ragazzi si amano e comprendono le proprie pulsioni, mentre fuori brucia il Maggio Francese. Prima di questo ci fu L’Assedio, tutto ambientato in un appartamento nei pressi di Trinità dei Monti e l’ultimo tratto da Ammaniti, Io e Te; impostato in una cantina nei pressi di casa sua a Trastevere. Con Bertolucci se va il cinema italiano. Quello potente. Quello poetico. Quello intimistico. Quello impossibile. Veristico e probabilmente anticonformista.



(Lunedì 26 Novembre 2018)


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