 Autobiografia autentica del grande regista Dolor y Gloria Almòdovar fa il bilancio della sua vita
di Mario Dal Bello E’ arrivato il momento delle (auto) biografie. Un pimpante Almòdovar ha presentato a Cannes il suo attore-feticcio Antonio Banderas come alter ego in Dolor y gloria, autentica biografia personale del regista sessantanovenne. Un film malinconico (anche Banderas è reduce da un infarto), dolorosamente dolce, dove l’attore, 58 anni, impersona un regista malato, depresso, inattivo che arriva all’eroina per non soffrire, incontra un vecchio amore – ma ormai non è più il momento -, rivive il rapporto agrodolce con la madre (la parte forse più bella del film). Soprattutto rivive l’infanzia povera ma aperta alla meraviglia (le scene dei fuochi artificiali, del cielo, della grotta in cui vive), dello studio, della ribellione ed anche dell’incantamento sensuale.

E’ un Almodòvar senza i soliti vezzi, più pacato e lento, che riflette sulla vita, il dolore, la gloria che stordisce e poi passa, la durezza dell’inattività, le paure e l’angoscia per la salute. Tutto lo porta alla solitudine, al voluto isolamento: è sazio della celebrità. Il ricordo come nostalgia di affetti, di creatività, è la trama di un racconto dove i colori pastello sono meno forti, la luce meno chiassosa, i dialoghi sobri e incisivi. Recitato da un cast in stato di grazia - Banderas e poi Penèlope Cruz che ricorda volutamente Sophia Loren - il film celebra il passato come momento di riflessione e di ripartenza a fare cinema – il motivo di vita di Almodòvar, già più volte malato – riandando alla madre e alla prima illuminazione erotica che stordisce. Sono temi che ritornano circondati dall’aura della “rimembranza” che purifica i consueti lustrini e cliché, lasciando spazio alla poesia del dolore tra i migliori del regista.
giudizio: ** *

(Venerdì 24 Maggio 2019)
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