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L'omaggio del nostro giornale al grande scrittore

Addio Gabbiano

Un ricordo ed un'intervista


di Roberto Leggio


Luis Sepulveda è morto, volato via sulle ali della letteratura, ucciso dal CoViD19. Il virus venuto chissà dove, si è portato via una penna eccelsa del ‘900 a settanta anni a Oviedo in Spagna, ultimo rifugio del suo esilio. Sepulveda era cileno, riparato in Europa, in fuga dal regime di Pinochet dopo essere stato incarcerato per due anni e mezzo e espulso senza mezzi termini dal suo paese. Uomo di grande cultura, viaggiatore, ecologista ostinato e militante, ha attraversato i decenni con romanzi di grande profondità psicologica ed emotiva. Il suo primo romanzo, L’uomo che leggeva romanzi d’amore, dedicato senza sotterfugi a Chico Mendes (magnificato perfino in una delle canzoni più famose dei Gang di Marino Severini), racconta dell’impatto della civiltà occidentale sulle popolazioni indigene. Una storia sospesa tra due mondi, assioma perfetto di tutta la sua vita di esule in terra straniera. Sepulveda era vissuto in Francia e poi in Spagna, senza mai dimenticare le sue radici sudamericane. Per un periodo aveva perfino vissuto a Trieste, altro luogo sospeso tra due culture, dove aveva iniziato a pensare ad uno dei suoi romanzi più famosi La Gabbianella ed il gatto che le insegnò a volare, fiaba ecologista sul rispetto e la tolleranza tra razze diverse. Un romanzo per bambini che è anche una grande storia per adulti. Quelli che ancora il colore della pelle fa la differenza. Narratore di libertà e sogni, si è arreso dopo quasi due mesi di ricovero in terapia intensiva. Molti già lo piangono, altri continueranno a volare attraverso le sue parole scritte. Con Sepulveda scompare un altro tassello della letteratura sudamericana, quella degli anni di solitudine, degli ultimi della terra inevitabilmente resistenti, del ghiaccio e del fuoco legata al ricordo e alla solidità della terra e del sangue. Peccato. Addio Gabbiano.

Come omaggio e in ricordo riproponiamo un'intervista da me realizzata in occasione della presentazione del film Nowhere

LA SFIDA DI SEPÙLVEDA
Da scrittore di successo a regista impegnato, ha sfidato se stesso dirigendo un film sul regime di Pinochet e sulla speranza della libertà.

Luis Sepùlveda, autore di libri di successo ed eminenza pensante dell’intellighenzia cilena si è messo in gioco dirigendo Nowhere un film sulla repressione civile di Pinochet. Un tema non certo leggero ma che lo scrittore de Il vecchio che leggeva romanzi d’amore e Dario di un killer sentimentale, conosce molto bene essendo stato lui stesso uno dei perseguitati del regime, avendo pagato con la prigione l’affermazione delle sue idee. Esiliato come molti intellettuali dal suo paese, ha vissuto a Parigi e Amburgo continuando la sua lotta contro il regime con la forza delle parole. Simbolo vivente di quanti hanno saputo schierarsi contro le ingiustizie civili, Luis Sepùlveda da membro di Greenpeace, ha preso parte alla missione dell’Unesco volta misurare le conseguenze politiche dell’installazione dei coloni tra gli Indio della foresta amazzonica. Scrittore pluripremiato (ha vinto il premio Bancarella nel 1997 con la Frontiera Scomparsa), sceneggiatore (sua la riduzione della favola per tutte le età La Gabbanella ed il Gatto diretto da Enzo D’Alò), attore (ha avuto una particina in Bibo per sempre), intellettuale a tutto tondo con Nowhere ha fatto il suo debutto dietro la macchina da presa ispirandosi ad un suo racconto contenuto in Incontro d’Amore in un paese in guerra.

Come mai uno scrittore affermato come lei ha voluto mettersi dietro la macchina da presa?

Per espandere quelle emozioni che sulla carta sono inevitabilmente prigioniere di un’idea. L’immagine associata alla parola offre infinite possibilità di riscoprire gli aspetti più importanti della vita e credo che la parola e l’immagine aiutino a non dimenticare. Sono figlio di un secolo che sembra essere stato scritto da uno sceneggiatore demente e volevo raccontare quelle vicende che meritano di essere raccontate e che ancora non sono mai comparse sullo schermo. Ma più di tutto perché i romanzi che scrivo nascono nella mia mente come sequenze d'immagini e sono certo, che essendo un ottimista, l’ottimismo è possibile.

La storia che racconta però non è propriamente ottimistica…

Certo che no. Però i cinque prigionieri fanno di tutto per sdrammatizzare la loro situazione. Si rendono conto che anche i loro aguzzini sono vittime del regime. L’ottimismo nasce proprio da questa presa di coscienza… permette loro di guardare avanti, di affrontare il presente con molta più speranzosa determinazione. I valori come la fratellanza, la solidarietà, la coerenza etica e il coraggio civile sono i veri personaggi della storia del mondo.

Quindi definisce Nowhere come un apologo sulla libertà?

Qualcosa di molto di più: un vero elogio alla vita…

Ma si tratta anche di un film politico…

Perché non dovrebbe esserlo. Sono un uomo di sinistra e Nowhere, che rispecchia in pieno la mia ideologia, è senza dubbio un film di sinistra. Non credo vi sia possibilità d'errore.

Essere di sinistra oggi, cosa significa?

E' un'attitudine profondamente etica.

Quindi è d’accordo sulla presa di posizione di Moretti nei confronti della sinistra italiana?

Penso che le critiche rivolte da Moretti ai rappresentanti della sinistra siano ben motivate e non le trovo esagerate e fuori luogo, anzi le appoggio pienamente. Credo che ogni uomo di cultura, sia un regista, uno scrittore, un intellettuale, debba essere molto attento alla realtà che lo circonda. Quindi essere critico e obiettivo anche nei confronti della politica. Ritengo che la capacità critica di queste persone sia fondamentale per lo sviluppo di una società civile.

Ma lei che è spesso presente in Italia che idea si è fatto della politica attuale?

La situazione di monopolio nell'informazione è preoccupante. Inoltre trovo inquietante che non ci sia una vera opposizione. Ma gli italiani sapranno alzare la testa e rimediare a questo stato di gran confusione.

Lei ha affermato di essere dotato di un’immaginazione cinematografica, quindi prima di scrivere aveva già avuto un rapporto con il cinema…

Quando da bambino andavo nei cinemini, la mia fantasia si espandeva e certe storie prendevano corpo nella mia mente sotto forma d’immagini evanescenti. Quindi non nego che le mie radici culturali affondino nel cinema. Garcia Marquez una volta ha detto che gli scrittori sudamericani non sarebbero esistiti senza il Neorealismo italiano. Credo che abbia ragione. Il Neorealismo è stato decisivo per la mia formazione culturale: sarei stato una persona diversa, una scrittore differente se non avessi visto Miracolo a Milano e Roma Città Aperta.

Qual è quindi il cinema che le piace?

Amo il cinema che parla di persone e che si nutre di emozioni come La Stanza del Figlio di Moretti, un grande film sul dolore. Detesto invece tutta quella spazzatura statunitense tutta effetti speciali, sparatorie e retorica come Black Hawk Down. Questi tipi di film uccidono la passione per il cinema essendo privi di un’umanità in cui identificarsi.

Mentre la letteratura cosa rappresenta per lei?

Si tratta del mio rifugio personale. Il nascondiglio segreto nel quale le mie idee si espandono e prendono vita, dove Luis Sepùlveda si trova in armonia con il mondo e dove tutto diventa più chiaro, limpido…

Sta terminando qualcosa, attualmente?

Ho appena finito di scrivere Fine Secolo, un nuovo romanzo che uscirà in Italia, edita da Guanda il prossimo autunno. Si tratta di una lunga riflessione sugli avvenimenti che hanno segnato la fine del ‘900, ambientato in un hotel “al confine del mondo”, che ho scoperto in un paese incastrato tra il Brasile, il Perù e la Colombia.

La storia si addice per un buon film… crede che tornerà dietro la macchina da presa?

Su questo non ho ancora le idee chiare ma ho in progetto di portare sullo schermo Hot Line, un mio vecchio racconto. Devo confessare che mi era stato proposto di dirigere Patagonia Express, un film di cui ho scritto la sceneggiatura, ma ho debitamente rifiutato…







(Giovedì 16 Aprile 2020)


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