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Il "noir d'azione" anni '50

Il grande caldo

Altre riflessioni da una terrazza romana al Colosseo


di Pino Moroni


Il grande caldo


Un altro sottogenere del cinema noir di Fritz Lang è rappresentato da Il grande caldo (USA, 1953). Che cosa c’è in più nei film di genere del regista tedesco rispetto a quelli, anch’essi eccezionali, degli autori inglesi o americani (Hichcock, Laughton, Welles, Wise, Aldrich)? In questo caso si tratta di una detective story o di una gangster story, o meglio di entrambe, con i prodromi del filone del “giustiziere della notte”. Malgrado ciò il film è compatto, continuo ed omogeneo nel descrivere ambienti ed atmosfere diverse. L’umile casa del sergente Dave Bannion (Glenn Ford), i locali notturni pieni di losche figure, la frenetica stazione di polizia, i lussuosi appartamenti pieni di divani, di gioco e di alcool dei banditi. Atmosfere “fredde”, con tagli obliqui in cui gli scenografi di Hollywood hanno dato il meglio di sé.

Il grande caldo


Ma ciò che si distingue nei film di Fritz Lang è la statura e la intensità degli interpreti principali e secondari.
Un Glenn Ford inossidabile nella sua voglia di pulizia e di vendetta (gli è stata uccisa la moglie) in un mondo claustrofobico, così profondamente corrotto da creare un’angoscia totale, una solitudine cosmica.
Una Gloria Grahame (Debbie, la pupa del gangster) con mezza faccia -o anima- ustionata, orribile e incurabile, e mezza faccia –o anima- bella e pulita, in cerca di redenzione.
Tra i cattivi emergono la ricattatrice Bertha Duncan, il cinico capo gangster Mike Lagana, il violento braccio destro Vince Stone, il corrotto commissario Mike Higgins.
Ma anche il debole killer, il perfido barista, il pavido tenente, la moglie fedele del poliziotto, la ragazza perduta del bar contribuiscono a creare un affresco di un’America a cavallo tra legalità e malaffare, tra società civile e organizzazioni violente.


Il grande caldo


Fritz Lang riesce a creare, meglio di tutti gli altri registi, gli archetipi e gli stereotipi di questo sotto-genere attraverso un codice narrativo, uno stile particolare fatto di ambienti “totem”, di personaggi scolpiti, e soprattutto di strani tagli di inquadrature e primi piani di dettagli che scoprono il simbolismo.
Ecco che cosa c’è di più nei film del regista tedesco: tanta accuratezza nei particolari, un intreccio approfondito ma scorrevole con una sua omogeneità stilistica, di contenuti e di atmosfere. In particolare, ne Il grande caldo è anche approfondita la psicologia di un uomo disilluso, il protagonista Glenn Ford che vede una società impietosa tutta alleata contro di lui. Che è, in fondo, la storia dello stesso regista, appena uscito dal grande complotto maccartista, nato dalla paura del comunismo (in suo nome era stato inserito nella lista nera dei presunti comunisti di Hollywood), che terrorizzò come un incubo da film noir l’America dei primi anni ’50.


Il grande caldo


Il "noir psicologico" anni '40
Dietro la porta chiusa
Riflessioni da una terrazza romana di fronte al Colosseo
Bello e da godere da parte di cinefili, come buon esempio di un “noir psicotico” degli anni ’40. Tenendo però conto che sessant’anni non sono passati invano, e che molte cose sono ormai inesorabilmente datate.



(Giovedì 21 Luglio 2005)


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