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 La "poesia concreta" di Benigni e Cerami La tigre e la neve Non puoi mai fermare la primavera
di Piero Nussio «Servirebbero antibiotici, cortisonici, ed altri medicinali. Ma qui non se ne trovano.» «Ma tu, quando eri giovane, che tutte queste cose non esistevano, come facevi?» Dopo averci pensato un po’ «Beh, usavamo la glicerina...» È un po’ come la vecchia liscivia che le nonne usavano per lavare: si fa con olio, grassi, alcool e un po’ di cenere del focolare. O, cosa molto più recente e d’attualità, è la preparazione del biodiesel dall’olio di semi: la glicerina si ottiene dal processo chimico che prepara il carburante.
Si è fatto gran parlare di poesia, a proposito del film La tigre e la neve. Benigni, furbastro, ha retto il gioco: “Si tratta di un film che va diritto al cuore” ha dichiarato al nostro Roberto Leggio che lo intervistava. Ma, invece, nella scena col vecchio farmacista iracheno Al Giumeili (Amid Farid), non parla di poesia il poeta Attilio De Giovanni (Roberto Benigni), ma di cose molto pratiche e concrete.

La tigre e la neve E altrettanto, quando si tratta di cercare dei veri medicinali, non è alla poesia che si affida il protagonista, ma agli amici che si è fatto presso la Croce Rossa, ed alle loro scorte di preparati chimici.
La poesia non manca, ed i titoli di coda riportano una sfilza di opere ed autori che sono stati citati nei dialoghi, ma non è quello il vero contenuto che gli autori (soggetto originale e sceneggiatura di Vincenzo Cerami e Roberto Benigni) hanno messo nel film.
Ci hanno messo un medico (Abdelhafid Metalsi) un po’ troppo fatalista, ma capace e molto “occidentale” nella sua scienza. Ci hanno messo un poeta irakeno (Jean Reno) che decide di tornare in patria dopo decenni di esilio perchè è il momento di fare qualcosa nella sua terra. Vero che il poeta Fuad deciderà di suicidarsi, ma prima ha aiutato il suo amico come meglio ha potuto, e presumibilmente lo ha fatto anche con altre persone. Non è rimasto pensoso poeta a rimirare le stelle. Anzi, il personaggio di Fuad e l’attore Jean Reno che lo interpreta, a dispetto della nazionalità francese e dei ruoli abituali in film d’azione, è una delle maggiori icone, e più solide di un film che qua e là traballa un po’.
Non era facile parlare dell’Iraq con la guerra in corso. Non era facile fare un discorso complesso in una situazione in cui le persone –in tutto il mondo- giustamente si schierano pro o contro la guerra e l’intervento americano. Gli autori, en passant, si esprimono anche su questi argomenti, con una Bagdad spettrale, con i faccioni ed i tronfi monumenti di Saddam, con i soldati americani spesso stupidi e talvolta -per eccezione- umani e spauriti.

La tigre e la neve Ma non è questo, a mio parere, il succo del discorso de “La tigre e la neve”. E non è nemmeno, a dispetto del titolo e della grossa enfasi, la “poesia”. Non è la “poesia” del sogno, dei faccioni di Borges e Montale, non è la pur bella lezione in cui Benigni parla della poesia (e surclassa l’analoga lezione di Robin Williams ne L’attimo fuggente).
La poesia di Cerami e Benigni è, forse, una “poesia concreta”. Il tono da favola, la storia oltre i limiti della credibilità, l’atmosfera trasognata e surreale sono solo le “regole del genere”. Il “genere” è quello del Chaplin di Luci della città, che tende a scadere nell’oleografico e nel sentimentalistico se non è retto da un rigore d’acciaio. Benigni e Cerami sono spesso caduti in questo “sentimentalismo deteriore”, disprezzabile anche se premiato da Oscar.
Ma stavolta, no. La loro poesia concreta insegna a prendere le cose seriamente, in amore come in guerra. Ad andare fino in fondo, a prendersi le conseguenze dei propri atti e dei propri pensieri. A non fare le cose solo per essere ricompensati. A credere negli amici e nell’amicizia. A non arrendersi (infatti, il suicidio di Fuad lascia l’amaro in bocca). A credere alla scienza (medici, ospedali, aerei, organizzazioni), ma a non scordarsi le capacità umane ed i rimedi più semplici (la glicerina...). Ad ascoltare i bambini. Ad avere l’ottimismo della volontà.
E... E basta, se no si ricade nel sentimentalismo deteriore.
Anzi, lasciamo la parola a Tom Waits (che Benigni conobbe sul set di Daunbailò) e ad alla sua voce tanto scura e roca. La canzone che canta nel film è Non puoi mai fermare la primavera . Solo la sua voce “impastata di tonnellate di bitume” può farci accettare un testo così, alla Frank Capra. Ma è quello che ci voleva, come nel film di Kim Ki-duk Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera.
Non puoi mai fermare la primavera (trad. P. Nussio)
Non puoi mai fermare la primavera, Puoi essere sicuro che io non smetterò mai di crederci, La rosa si arrampicherà mentre arrossisce: Salta su o cade indietro, La primavera davanti o l’autunno indietro, E gli inverni sognano ogni volta lo stesso sogno.
Non puoi mai fermare la primavera, Anche se ti sei perso per strada Il mondo continua a sognare di balzi e di primavera, E allora chiudi gli occhi ed apri il tuo cuore A colui che sta sognando di te.
Non puoi mai fermare la primavera, dolcezza, Ricordati di tutto ciò che può portarti la primavera, Non puoi mai fermare la primavera.

La tigre e la neve You Can Never Hold Back Spring ( Waits/Brennan )
You can never hold back spring You can be sure that I will never Stop believing The blushing rose will climb Spring ahead or fall behind Winter dreams the same dream Every time You can never hold back spring Even though you’ve lost your way The world keeps dreaming of spring So close your eyes Open you heart To one who’s dreaming of you You can never hold back spring Baby Remember everything that spring Can bring You can never hold back spring
(Giovedì 20 Ottobre 2005)
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