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Interessante film dal Burkina Faso

Delwende

Le streghe africane, ed il mito del "buon selvaggio"


di Piero Nussio


Delwende, alzati e cammina è il titolo di un film africano, realizzato in Burkina Faso nel 2005.
Il Burkina Faso, ex colonia francese dell’Alto Volta, si trova fra il Mali ed il Ghana, nell’Africa nord-occidentale ed è una delle nazioni più povere del mondo anche a causa delle condizioni climatiche. Nel nord del paese la caratteristica è il “sahel”, ossia una savana tropicale molto arida e rada, con estreme scarsità di pioggia ed un vento caldo e secco proveniente dal Sahara.
In queste condizioni, comunque, la maggior parte della popolazione –quella che non emigra a cercare lavoro nei paesi vicini- sopravvive di allevamento ed agricoltura un una condizione di arretratezza particolarmente forte.
E se queste notizie vi fanno venire in mente il mito del “buon selvaggio”, allora sì che siete veramente fuori strada. Nel Burkina Faso c’è un tessuto di piccoli villaggi rurali, persi nella savana, in cui la sopravvivenza non è sempre garantita, e la mortalità è alta. L’AIDS è una delle piaghe diffuse, e la mortalità infantile un’altra felice compagna della vita tribale.
Se non bastasse, si aggiungano le difficoltà ambientali (mancanza d’acqua: tutti hanno una specie di mezza zucca secca che portano sempre con sé, per approfittare di qualsiasi pozza d’acqua) e, non ultime, le difficoltà culturali.

Proprio di queste ultime tratta soprattutto il film di Helmer S. Pierre Yaméogo “Delwende”. Innanzitutto, nel villaggio del sahel dove è anbientata la storia, c’è un’epidemia di meningite che sta falcidiando giovani e anziani.
Che è meningite lo sa lo spettatore, perchè lo sente dire in francese da una radio accesa, ma i burkinabe del film parlano solo la lingua locale mossi, e comunque non capirebbero il termine scientifico.

Capiscono, perchè la loro tradizione glielo insegna, che se i bambini muoiono di collo torto è colpa del maleficio di una strega “mangiatrice di uomini”.
Chiamano allora uno stregone (notare bene: la magia positiva la fa il mago uomo, quella negativa la maga femmina) che effettua uno “screening” della popolazione tramite lo “zhiogo".
Lo strumento è una specie di grosso palo-totem (e dai...) manovrato de due ragazzi vergini che punta tutti gli abitanti del villaggio fino a colpire l’autore del maleficio, del malocchio che causa le morti.

La macchinazione del protagonista maschile Diahrra (Célestin Zongo) è quella di sostituirsi ad uno dei portatori e, così facendo, di indirizzare lo zhiogo fino ad incolpare la propria moglie Napoko (Blandine Yaméogo) e farla così scacciare dal villaggio in quanto “strega”, autrice del malocchio.
Diahrra ha stuprato la figlia sedicenne Pougbila (Claire Ilboudo) e l’ha poi venduta in moglie ad un ragazzo di un villaggio vicino. Lo scopo della sua macchinazione è dunque quello di allontanare da sé ogni rischio di essere scoperto nelle sue malefatte.
La madre, scacciata dalla sua gente vaga per il sahel, e non l’accolgono neppure i suoi parenti in un altro villaggio, perchè nessuno vuol avere a che fare con una donna accusata di stregoneria. La figlia è all’oscuro di tutto quanto è accaduto a sua madre, alle prese con un matrimonio forzoso.

Un dramma a forti tinte, come nella tradizione dei romanzi d’appendice dell’ottocento, reso ancora più aspro da condizioni di vita difficili e da una subalternità culturale che vede un vecchio cappello o delle pile usate come gli unici residui della tecnica occidentale, da mescolare alle superstizioni ataviche.

E peggio ancora è nella capitale del Burkina Faso, quel luogo dall’impronunciabile nome di Ouagadougou, che è difficile definire città.
Uno di quei magnifici regali che il passato coloniale ha lasciato nelle distese africane, un arido agglomerati di sentieri polverosi, una bidonville percorsa da moto e furgoni, senza regole né servizi, dove gli aspetti deteriori della modernità occidentale si incontrano con le antiche, feroci tradizioni.

Eppure è lì che la “strega” Napoko trova finalmente un tetto ed un’occupazione, nel centro di assistenza Delwende di Tanghin, che accoglie le presunte “streghe”.
Lì, assieme ad altre centinaia di donne scacciate dalla comunità, riprova a guadagnarsi la sussistenza filando il cotone.
In questo rifugio dei “paria” della società, la figlia Pougbila troverà infine la madre e, con l’irruenza della giovane età e la voglia di ribellarsi ai soprusi, la ricondurrà al villaggio e farà saltare i piani dell’indegno padre Diahrra.

Un “lieto fine”, come in qualsiasi romanzo d’appendice che si rispetti, e come immagino pretendano gli spettatori burkinabe in sale cinematografiche che non riesco nemmeno a pensare.

Eppure esistono, come devono esistere spettatori assidui, se il livello della cinematografia locale è quello che quest’opera dimostra, come già lo avevano mostrato i film di Idrissa Ouedraogo e di Gaston Kaboré.
Incredibilmente per la sua povertà ed il sottosviluppo, il Burkina Faso ha una fiorente scuola di cinema, superiore a quella di ben più ricchi stati africani. Ed anche, a Ouagadougou il FESPACO, il maggior festival del cinema africano.

Ovviamente, il Burkina Faso non ha né i capitali né le attrezzature tecniche per la realizzazione delle opere cinematografiche, e deve quindi ricorrere ad interventi stranieri, specialmente a quelli organizzati della Comunità Francofona.

Per Delwende si è fatta una coproduzione con Francia e Svizzera, finanziata anche dalla fondazione culturale UnIdea della banca italiana UniCredit, e questo ha portato l’opera ad essere selezionata per Cannes 2005, dove ha vinto un paio di premi minori, e all’accesso al London Film Festival ed al Mill Valley FF della California.

E, grazie alla banca ed all’associazione Lettera 22, il film si è potuto vedere anche a Roma ed in altre città italiane: questo perchè il film non è normalmente presentato in sala nonostante un distributore lo abbia in catalogo.

La Mikado ha acquisito i diritti del film, ma ritiene non produttivo presentare l’opera al pubblico nelle normali proiezioni di sala.
A modesto parere di chi scrive, sbaglia di grosso perchè il film ha tutte le caratteristiche per attrarre un pubblico attento. Che non è infima parte del pubblico cinematografico, come il successo economico di molti film simili ha dimostrato.

Delwende



(Giovedì 27 Ottobre 2005)


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