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A proposito del Casanova svedese

Globalizzazione e decadenza del cinema

Il cinema è finzione, ma non revisionismo


di Pino Moroni


Immaginate un regista svedese, Lasse Hallström (Chocolat, 2000; Le regole della casa del sidro, 1999; Il vento del perdono, 2005), con tutta la melassa dei romanzi di Dickens, i buoni sentimenti ed un sano spirito progressista (donne femministe ante-litteram), pervaso di umori ibseniani e di un’algida sensualità che è connotazione delle terre gelate del nord.

Questo regista dirige la storia di un falso Casanova, tra segreti, bugie, scambi di persona e di porte, come una commedia degli equivoci americana o francese. Del resto, come fa un puritano nordico a rappresentare una Venezia libertina, festaiola, piena di maschere italiane e di erotismo sublimato e raffinato?

Ha preferito, infatti, costruire una pudica storia d’amore in cui gli interpreti non si danno mai nemmeno un bacio, e gli altri atti sessuali si dileguano dietro i paraventi dei conventi, o sono menzogne di teen-agers che cercano successo (dicendo di aver fatto l’amore con il mito Casanova), come le veline di oggi che raccontano ai giornali di essere state a letto con Taricone o Briatore.

Le stesse “Memorie di Casanova” sono scritte, nel film, da un imbranato guardone di belle donne affacciate alle calli, che ha una sola esperienza positiva di lupanare, e sostituisce il vero Casanova fuggiasco con il suo grande amore, una Francesca mai coverta, e ridotto poi per campare a recitare in un Carro di Tespi italiano per borghi e per città.

Casanova, un film in cui la vita di corte del Doge e i tribunali dell’Inquisitore sono delle bruttissime copie di un settecento patinato, disegnato sui libri, le belle donne sono madri di famiglia, il sesso si trasforma in preghiera nel convento e –soprattutto- l’interprete principale (l’ex gay Heath Ledger) non è l’elegante, acculturato, raffinato cicisbeo, ma uno sgraziato, ignorante e depresso cowboy uscito da Brokeback Mountain.


Casanova australiano


Qualcuno dirà che il cinema è finzione, ma non revisionismo a tutti i costi.
Quando la globalizzazione cinematografica arriva anche a Casanova, e ne fa un frullato inodore e insapore, in cui il personaggio storico è assente, ciò che ha significato di perbenismo non ha più valore, e lo spirito di un’epoca viene disconosciuto, creando solo macchiette e pochade per il divertimento dei soliti ragazzotti e delle famiglie affamate di gossip e di soap operas, si può veramente dire che il cinema d’ambiente, di personaggi, di approfondimento di epoca, d’autore, è morto.
Uno stanco regista nordico, lontano anni luce da Venezia, pieno di soldi da spendere (vedi le scene di massa e gli attori da grossi ingaggi), senza conoscere né le memorie del seduttore né le “Baruffe chiozzotte” del Goldoni, ha fatto il solito polpettone hollywoodiano, con i soliti luoghi comuni di questi tempi: amori scontati, bigottismo, femminismo, cure dimagranti, più torture e inseguimenti dosati quanto basta per arrivare -attraverso i soliti affanni e tensioni- alla parola fine.

Quanto lontano, prendendo un altro esempio, il film di Comencini Infanzia, vocazione, prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969), tratto dai primi cinque capitoli delle “Memorie”, sceneggiato da Suso Cecchi d’Amico: un autentico ritratto -fatto di crudo realismo- della vita veneziana del tempo.



Una lunga navigazione, in barca e per le calli, del bambino Giacomo alla scoperta della putrida e decadente Venezia, l’incontro con mezzane e guaritrici, malattie contagiose, salassi e morti, in un clima di scienza e superstizione. Atmosfere di cupi conventi, conversioni e punizioni esemplari di preti peccatori esposti al pubblico ludibrio da autorità ecclesiastiche e militari.

Prime alcove di donne nude bellissime (una sensualissima Senta Berger), due ragazze disinibite (le scatenate Tina Aumont e Silvia Dionisio) pronte a fare accoppiate multiple. La carnale Maria Grazia Buccella, messa per la gioia degli occhi. Leonard Whiting – Casanova, gentile ed educato inglese che, da pretino indottrinato, si trasforma in un amante perfetto per tutte le stagioni.
In questo film c’è la storia, la vita, la recitazione, l’intrigo esistenziale e l’amore, il fumo delle candele e il profumo del sesso: film di un italiano che ha studiato, con i suoi film, l’Itlia e i suoi costumi, nel tempo.



Invece i produttori americani dell’ultimo Casanova riciclano, per l’ennesima volta, il compitino scritto dagli sceneggiatori di Hollywood, che ripetono da un secolo le stesse storie d’amore –drammatiche o comiche- e le avventure in salsa western.

Lo stesso casting di registi, sceneggiatori, scenografi e interpreti è composto di maestranze che, in questo momento, hanno avuto più successo e fanno più cassetta.
Anche se con la storia di Casanova non hanno niente a che fare.

Il sistema esasperato dello “star system” e degli incassi sta contribuendo fortemente alla lenta decadenza del cinema.



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(Giovedì 16 Marzo 2006)


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