.


Film in uscita Recensioni Festival Eventi Sipario Home video Ciak si gira Interviste CineGossip Gadget e bazar Archivio
lato sinistro centro

Home Archivio      Stampa questa pagina  Invia questa pagina  Zoom: apri la pagina in una nuova finestra


Il cinema dell'etica

Le false verità di Atom Egoyan

Una riflessione sui temi del regista armeno-canadese


di Piero Nussio


Quando Søren Kierkegaard (filosofo danese dell’ottocento, precursore degli esitenzialisti) ha scritto il “Diario di un seduttore” non l’ha fatto per insegnare qualcosa ai pappagalli che disturbano le turiste, ma per realizzare un’opera filosofica che potesse esporre il suo pensiero, le emozioni ed i sentimenti degli uomini.
Quando Atom Egoyan (regista armeno-canadese) prepara i suoi film condensandovi tutte quelle umane doppiezze e turpitudini di cui è esploratore ed esperto non vuole certo solleticare i bassi istinti dei suoi spettatori, ma lo fa per costruire tramite immagini un’opera morale, che possa esporre le sue convinzioni.

Il cinema che compone Egoyan nasce per finalità etiche, con tutta l’importanza e la serietà che una tale definizione impone. E che viene percepita chiaramente dal pubblico, dai distributori, e dal carnevale dei media: nonostante i temi scabrosi che l’autore tratta abitualmente, e le scene particolarmente esplicite di cui si serve, nessuno ha fortunatamente mai provato ad imbarcarlo in quei “successi di scandalo” di cui sono pieni i nostri strumenti di divulgazione del “gossip”. Egoyan è un regista serio, che tratta temi di una valenza universale, ed anche i più beceri fra i critici e gli spettatori lo percepiscono a tal punto che non provano mai ad imbrattarlo.


Il film False verità (Where the truth lies, 2005) è un perfetto paradigma dell’interesse filmico di Egoyan.
C’è anche –perchè negarlo?- una qualche “aria del tempo”, quella che ha voluto far sì che i film più acclamati dell’annata cinematografica 2005-06 siano dedicati a due temi abbastanza inusuali: spettacolo, cultura e televisione anni ’50 (Good night & good luck, Capote) ed alla omosessualità maschile (Brokeback mountain e di nuovo Capote). Con uno strano tempismo, forse appunto respirando l’aria del tempo, anche Egoyan è riuscito ad inserirsi da pari fra questi grandi realizzando False verità, un film sui miti dello spettacolo televisivo anni ’50 e sull’omosessualità maschile e femminile.

Ha avuto molto meno clamore e premi degli altri autori, ma sfido a mettere i vari film a confronto, specie sul nocciolo duro dei rapporti umani e sulla fobia del diverso, ed a giudicare quale sia il meglio riuscito, il più denso, il più cinematograficamente calibrato, il più accoratamente sincero e perfidamente cinico.
Ed una sfida: chi, d'ora in poi, fra gli spettatori di questo film potrà assistere impassibile e indenne alla sciocca melassa delle nostre maratone "Telethon", dopo aver dato uno sguardo dietro le quinte di quelle americane degli anni '50?

Mancano forse ad Egoyan i temi civili e quelli politici, ma ad uno sradicato armeno che guarda il mondo dal freddo e lontano Canada non si può chiedere l’onniscienza. E poi, i temi pubblici lui li ha trattati nel film Ararat, sempre mischiandoli con i suoi incubi sulla verità e le sue rappresentazioni.
Risultato: è stato accusata da entrambe le parti in causa, i turchi di aver fatto un film di propaganda, e gli armeni di aver fatto un’opera poco convinta. Insomma, Egoyan non è proprio il tipo adatto ai film epici.


Lui, nei film, ci mette il suo grande e contorto “ego” (ha anche chiamato così la sua casa di produzione) e tutta la sua collezione originale di turbe psichiche.
D’altronde, uno che intitola un suo film con un ossimoro come “false verità”, o è uno sciocco che fa giochi cretini di parole, o è un genio pieno di sé. Egoyan non è uno sciocco e non fa giochi di parole, ed è un genio pieno di sé come Orson Welles.

Il grande regista americano è evidentemente il suo cineasta di riferimento, e l’ha copiato smaccatamente: False verità si ispira a Quarto potere quanto Egoyan è il prosecutore e la reincarnazione di Welles. Ma di persona è tutt’altro: non fuma, non beve, non fa la “dolce vita” e nemmeno l’attore. Però, come Welles, è un genio poliedrico che spazia dai telefilm di “Venerdì 13” ai drammi di Samuel Beckett (Krapp's Last Tape, L’ultimo nastro di Krapp, 2000). Poi è regista d’opere e lui stesso autore di un’opera lirica (Elsewhereless, 1998), regista d’arte ed artista visuale (installazioni: “Steenbeckett” a Londra e “Hors D'usage” a Montreal). Pluripremiato, all’opposto del reietto Orson Welles, ha vinto tutti i festival importanti e ne è stato molte volte in giuria, poi ha ricevuto molte lauree honoris causa ed ogni genere di riconoscimento.


Nei contenuti, Atom è però più vicino a Søren –austero e tormentato filosofo danese- che ad Orson –geniale e pasticcione uomo di cinema americano-. Da quel Canada che ospita Le invasioni barbariche e però non si sente mai nei telegiornali, Egoyan realizza freddi film dai materiali esplosivi: porno-locali, maniaci e omicidi seriali, speculatori morali e materiali, psicosi e psicotici, complessati edipici e pedofili, persone turpi e scalatori sociali. E amorali d’ogni genere.
Materiale in cui Tarantino avrebbe sguazzato, ove i fratelli Coen avrebbero nuotato, e che Alfred Hitchcock avrebbe senz’altro usato per un suo thriller. Egoyan invece ci fa sopra i trattati morali, le parabole etiche, i puri simboli universali dell’umanità. Qualcuno è rimasto deluso dalle “False verità”, perchè si aspettava un semplice giallo, ed allora la soluzione gli è sembrata banale. Quei qualcuno non hanno capito che la forma esterna era del giallo, ma il contenuto era un apologo morale. Come l’albero, che ne “Il dolce domani” era il segno delle radici in cui si riconosceva la comunità montana, e nelle “False verità” è l’ultima cosa pulita che c’è rimasta al mondo, di cui bisogna preservare la purezza anche a costo di dover dire false verità.

Per di più Egoyan, nei suoi film, straccia anche una delle fondamentali regole del racconto cinematografico: la complicità fra lo spettatore ed il protagonista del film. L’avvocato truffaldino che Ian Holm interpretava nel “Dolce domani”, l’ambiguo manager che Bob Hoskins rendeva ne “Il viaggio di Felicia”, la giornalista d’assalto che tramite Alison Lohman svolge l’inchiesta in “False verità” sono personaggi a tante facce e troppe verità. E chi segue la storia dall’altra parte dello schermo, si trova a disagio a seguirne le peripezie, anche perchè –come poi avviene nella vita- molti retroscena sono sottaciuti o mascherati.
Le ragazzine di Egoyan sono sempre torbide, e agiscono sempre un po’ da madonne un po’ da puttane. I mostri di Egoyan sono morbidi e flaccidi, e non sono mai così mostruosi come ce li saremmo potuti immaginare. Però i pensieri che il regista riesce a far scorrere nella testa degli spettatori, quelli sì che sono mostruosi (e catartici).


I mostri, come per il sonno della ragione disegnato da Goya, sono sempre incubi irrazionali. Ma anche i razionalissimi e temibilissimi incubi del denaro e del potere.
Ed Egoyan ama esplorarli tutti, fino in fondo. Uno che si è formato con i thriller delle serie TV di Alfred Hitchcock e con quelli di “Ai confini della realtà” e di “Venerdì 13”, sa come giocare con le pulsioni dello spettatore. E la sua filmografia, di regista di culto, di intellettuale abituato ai festival ed ai premi in patria e all’estero, è comunque piena di film “strani” (Black Comedy, Peep Show, Exotica) quasi fosse un regista di serie B, una specie di autore di genere. Però la cifra vera dell’autore non è né la trasgressione sessuale né la violenza del thriller né la cronaca della perversione. Infatti, molti critican i suoi thriller proprio perché non sarebbero abbastanza mozzafiato. Ed i suoi film si prendono i “vietati” per le scene di nudo, ma non attraggono certo il pubblico di “genere”.

Bisognerebbe, come già sarebbe stato necessario per Orson Welles, tenere a freno il genio straripante di Atom Egoyan, fargli fare solo film estremamente trattenuti come “Il dolce domani”. Poi vietargli il “flashback”, di cui è maestro, ma di cui abusa. Poi fargli fare solo dei film “algidi”, ambientandoli solo fra i ghiacci del Canada...
Ma chi potrebbe mai riuscirci?
D’altronde uno che si chiama come il più famoso disco dei Pink Floyd (Atom hearth mother), che nasce al Cairo perchè la sua è una nazione che non c’è (Armenia) ma è dove si è finalmente fermata l’Arca di Noè (Ararat), che va a finire in una grande scatola di ghiaccio come il Canada, un po’ disturbato mentalmente lo è per forza...


Filmografia essenziale

• Next of Kin (1984)
• Black Comedy (1987)
• Mondo virtuale (1989)
• Il perito (1991)
• Calendar (1993)
• Exotica (1994)
• Il dolce domani (1997)
• Il viaggio di Felicia (1999)
• Krapp's Last Tape (2001)
• Ararat (2002)
• False verità (2005)

Un thriller ambiguo ma senza mordente
False verità
Non pienamente riuscita l'ultima fatica di Egoyan
Tratto da un romanzo di Rupert Holmes



(Giovedì 18 Maggio 2006)


Home Archivio      Stampa questa pagina  Invia questa pagina  Zoom: apri la pagina in una nuova finestra

lato destro