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L'attore parla alla vigilia della presentazione a Cannes

Kim Rossi Stuart

Della sua prima regia: "Anche libero va bene"


di Roberto Leggio


Domani il suo primo film da regista sarà presentato al festival di Cannes nella sezione "Quinzaine des Réalisateurs". Davvero sorprendente Kim Rossi Stuart, un giovane attore di successo che, al suo esordio nella veste di regista, arriva in una vetrina così prestigiosa. Lo fa, inoltre, con Anche libero va bene, un film difficile che mette in primo piano una famiglia allo sbando. Una pellicola che lo vede nella doppia veste di regista e attore in un ruolo non facile di un papà abbandonato dalla sua compagna che tenta, da solo, di far diventare grandi i suoi due figli.
Kim Rossi Stuart inizia giovanissino (aveva cinque anni) ad apparire per la prima volta davanti una macchina presa. Il film si chiamava Fatti di Gente per Bene ed era diretto da Mario Bolognini. Nessuno avrebbe immaginato che qualche anno più tardi quel ragazzino biondo sarebbe diventato uno degli attori di punta del cinema italiano. Adesso, dopo una trentennale carriera, Kim Rossi Stuart, ha deciso finalmente di passare dall’altra parte della barricata. Una vera soddisfazione per questo attore che proprio quest’anno con Romanzo Criminale ha raggiunto la sua consacrazione. Non sappiamo ancora se il nuovo corso prederà il sopravvento sulla sua carriera da attore. Forse tutto dipenderà dal risultato di Cannes. Non resta che incrociare le dita ed aspettare.

Come mai ha scelto la storia di una famiglia vissuta attraverso gli occhi di un bambino?
L’infanzia è un periodo fondamentale per la vita di un essere umano. Qui però non si parla di un’infanzia luminosa, spensierata. Era fondamentale poter raccontare le problematiche di una famiglia dopo l’abbandono di una madre, senza però cadere nello stereotipo. I genitori di Tommaso hanno personalità fragili, ma restano veri, umani. Per questo non ci sono buoni e cattivi in questa storia. La lucidità del piccolo Tommaso viene sviscerata pian piano. Proprio come il lavoro che ha fatto Alessandro Mordace, il piccolo attore, protagonista di del film. Non ha seguito pedissequamente la sceneggiatura, gli spiegavo la scena e lui improvvisava con molta libertà. E’ stato sorprendente.

Come ha trovato Alessandro?
Nella mia testa il personaggio di Tommaso aveva delle caratteristiche precise. Una volta trovato il bambino adatto, gli avrei lasciato parecchia libertà. Avevo intenzione di farmi guidare dalla sua personalità, dal suo carattere. E così è stato. Alessandro ha un talento straordinario. Dopo aver passato in rassegna scuole, piscine e campi da calcio, mi sono ricordato di questo ragazzino. Mi aveva colpito perché c’era qualcosa in lui di nascosto, viscerale che è venuto fuori fin dai primi provini.


Gli adulti nel suo film però hanno un lato nascosto, quasi infantile…
I genitori di Tommaso sono due personalità fragili che nascondono le proprie debolezze per difendere i loro figli. Non credo che siano personaggi del tutto negativi. La madre, ad esempio, non è la solita snaturata che abbandona la famiglia: è una donna con dei grossi problemi emotivi, ma allo stesso tempo ama i suoi figli più della sua stessa vita.

Come è stata questa esperienza da regista?
Il mestiere di regista è molto diverso da quello dell’attore. Devi avere tutto sotto controllo e non è una cosa facile. A dire il vero mi spaventava l’idea di mettermi dietro la macchina da presa, ma era un desiderio che maturavo da tempo. E’ stata una esperienza eccezionale che mi ha fatto maturare anche professionalmente. Pensa che mentre giravo molte cose sono venute per caso, senza pensare…

Qual è la differenza più evidente tra attore e regista?
Sono due cose lontane, a volte inconciliabili. L’attore implica un mimesi, mentre la regia permette di mettersi più a nudo.


Il film ha quel giusto equilibrio che scade mai nel melodramma…
Si, tutta la vicenda ruota attorno al recupero dello sguardo dei bambini nei confronti della vita. In questo senso ho voluto puntare in alto. Mi sono posto degli obiettivi ambiziosi, tra i quali quello di essere originale e sincero. Di conseguenza ho costruito dei personaggi veri. E quando un personaggio è vero, non si scivola in nessun cliché.

Cosa vuol dire arrivare a Cannes in veste di regista?
Da attore fai parte di un gruppo e non riesci a comprendere fino in fondo quanta fatica un regista ha messo in quell’opera. Ma quando ci vieni come autore di un film capisci immediatamente che tutta l’operazione grava solamente sulle tue spalle. La responsabilità è tua, qualunque sia l’esito definitivo. Per me è una soddisfazione ed una emozione incredibile. Una di quelle cose che vorresti si ripetano all’infinito.


Bello e irascibile
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Kim non rispetta il codice della strada.


Bello, bravo ma molto pedante sul set
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Il bel Kim, reduce dai clamori dell'ultimo festival di Venezia dove ha presentato "Le chiavi di casa", forse si è montato la testa.



(Venerdì 19 Maggio 2006)


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