 Don Chisciotte sullo schermo e nella vita Giuseppe Cederna A tu per tu con l'attore-viaggiatore
di Oriana Maerini  "Non mi definisco solo un attore, ma un uomo che si reinventa ogni giorno la vita." Con queste parole Giuseppe Cederna spiega la sua versatilità di uomo di spettacolo, scrittore e viaggiatore. La sua ultima fatica per il grande schermo è stata presentata il 7 agosto al festival di Locarno e si chiama Don Chisciotte e... Si tratta di un film diretto da Bruno Bigoni e liberamente ispirato all'omonimo romanzo di Miguel de Cervantes. Cederna nasce come attore di cinema e teatro e Tv ma da anni collabora come reporter di viaggi per diverse testate ed ha esordito anche come scrittore con il libro "Il grande viaggio". Il successo cinematografico è arrivato grazie all'incontro con Salvatores che l'ha scelto per Marrakech Express e Mediterraneo. Ma è il teatro che l'ha visto interprete di spettacoli indimenticabili fra i quali ricordiamo: Amadeus di P. Shaffer con Umberto Orsini; Il giardino dei ciliegi di Anton Cechov regia di Gabriele Lavia; La Febbre di Wallace Shawn; FreeClimbingBenni di Stefano Benni e Giuseppe Cederna; Tacalabala! Il racconto del calcio regia di Giorgio Gallione da un'idea di Giuseppe Cederna; Cani sotto la pioggia. Abbiamo incontrato l'attore nell'ambito della rassegna Cinema e Chianti dove ha raccontato, a ruota libera, come si è reinventato la vita giorno per giorno al di fuori dei cliclè e delle mode.
Nell'ultimo film veste i panni di un Don Chishiotte moderno, di cosa si tratta? E' stata vera e propria avventura umana ambientata negli spazi dell’Ex Ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano. Sono il protagonista di un progetto molto interessante al quale ho subito aderito con entusiamo. Il regista Bruno Bigoni, insieme ad una quindicina di studenti di un corso di cinema, ha ideato un film girato in un vecchio ospedale psichiatrico, luogo simbolo di sofferenza e di segregazione. E' un lavoro ha basso budget (40000 euro) e accanto a me recitano anche Yousuf Ademnur, Cristina Crippa nel ruolo di Dulcinea e molti volti noti dello cinema e dello spettacolo come Gabriele Salvatores e Moni Ovadia.
Un lavoro sociale... Si perchè il fiilm, non solo ha portato in scena diversi ex pazienti dell’ospedale, ma propone, attraverso la rilettura del classico spagnolo, un’interessante analisi della società contemporanea. Questo Don Chisciotte è un eroe moderno come gli uomini, donne, bambini che al mattino si alzano e non possiedono nulla, e ogni giorno trovano la forza di affrontare la vita e tutto ciò che ne consegue.

L'attore in una scena di "Don Chisciotte e..."
E' sempre impegnato in scelte difficili. Quanto è faticoso il mestiere dell'attore? La cosa più difficile è combinare due spinte ooposte: quella che ti spinge verso l'approfondimento per poter riuscire a commuovere e coinvolgere sempre il pubblico e quella più superficiale che ti impone di essere concentrato su te stesso con un'istanza egocentrica. Il mestiere dell'attore richiede un forte presenzialismo alle feste che contano, alle manifestazioni dove puoi avere una "visibilità".
Lei si è mai sentito in difficoltà? Si, nei periodi in cui non lavoravo non sapevo cosa rispondere alla fatidica domanda: cosa stai facendo ora? Allora mi ero attrezzato inventandomi progetti e storie che non erano controllabili. Insomma era un tormento dover dipender da questo e quel regista. Aspettare una chiamata che non arriva. E' allora ho deciso di reinventarmi la vita.
In che modo? Ho fatto molto teatro poi nel 92 ho accettato l'invito per fare da "occhio" in un viaggio in Somalia durante la guerra civile. Sono andato a vedere il dolore degli altri per fare un filmato di 12 minuti. E' stata un’esperienza dolorosa che mi ha trasformato profondamente. Tornato in Italia ho pensato a come potevo trasmettere questa esperienza e mi sono imbattuto nel libro "La Febbre di Wallace Shawn che racconta la trasformazione di uno scrittorre di fronte all'ingiustizia. Sono rimasto folgarato ed ho deciso che dovevo inventarmi uno spettacolo.
Un successo inaspettato? Si, per me è la cosa più importante che ho fatto nella mia vita ed è sempre più attuale. Tutti mi dicevano che era una pazzia fare uno spettacolo così di nicchia invece le persone che lo vedevano rimanevano colpite e ne parlavano. C'è stato un grande passa parola ed abbiamo raccolto 440 milioni.
Poi è diventato un viaggiatore professionista? Dopo l'esperienza in Africa il viaggio è diventato la cosa più importante della mia vita. Anche perchè ho scoperto che potevo scriverne e quindi trasformarli in un lavoro e non dipendere da registi e produttori. Ora non ho più l’ansia di essere sempre presente in tv e in cinema e faccio le cose che mi piace fare. Ho viaggiato molto e nel 99, dopo l'esperienza in Himalaya mi sono rinchiusto tre anni in casa per scrivere un libro.

Giuseppe Cederna a "Cinema in Chianti"
Parliamo di cinema. Mi racconta un aneddoto di Mediterraneo? Siamo stati abbandonati veramente sull’isola per due mesi ed abbiamo pure fatto uno sciopero quando abbiamo capito che il produttore non avrebbe fatto arrivare nessuna nave da guerra, neppure guangerata. Eppure si è creata una grande armonia nel gruppo di attori e questo, insieme alla bravura di Salvatore e alla forza della storia, è stato il successo del film.
Non è più tornato a Kastillorizo, l'isola del film? Si, ci sono tornato solo dopo 10 anni e dopo 4 anni di analisi! Tornare in un posto dove ero stato giovane e pieno di capelli mi terrorizzava. E’ l’unica isola dove sono veramente una star: più famoso di Michael Douglas il quale è sbarcato e non è stato riconosciuto! (ride).
Perchè non ha più lavorato con Salvatores Non lo so. Mi auguro che non sia per la mia battuta infelice. Quando il film ha vinto l’Oscar per dire qualcosa di anticorformista ho dichiarato in tv che forse "Lanterne rosse" meritava di più. Era uno scherzo ma ho sentito subito il gelo intorno a me...

Cederna sul set con Salvatores
(Martedì 22 Agosto 2006)
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