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Chi è Lars von Trier?

Il grande capo

Un successo prolungato per il suo ultimo film


di Pino Moroni


Chi è Lars von Trier? È il riflesso di un uomo, con la sua bella macchina da presa, ce si filma sul vetro di un palazzo in cui si svolge il suo film Il grande capo.

Su questa immagine, che già pone un problema di identificazione, la voce di Lars von Trier informa del basso profilo del film che si sta iniziando a vedere. «Stavolta –dice- non c’è niente da riflettere, il film è privo di cultura con la C maiuscola».

Lars von Trier


Nella prima scena un attore (una specie di sosia di Mac Rooney, comico anni ’60) si riflette nello specchio di un bagno –come il regista si rifletteva- con un baffo di fuliggine sulla fronte per simboleggiare uno strano spazzacamino. Legge da un foglio: «Salve, sono il grande capo». Rilegge ancora, con una recitazione più intensa, mentre la tecnica di ripresa, (automavision, inventata da Lars von Trier) comincia ad inserire nel montaggio scene scelte a caso da un computer tra tutte quelle girate dal regista.

Vale la pena di chiedersi di nuovo chi sia Lars von Trier, al di là dei suoi film già famosi (Le onde del destino, Dogville, Idioti).
Lars von Trier, cineasta danese cinquantenne, è il regista che usa nei suoi film tutti i meccanismi ed i significati del teatro classico, del teatro da salotto, del teatro d’autore, del teatro d’improvvisazione e delle commedie televisive.


Alla ricerca, attraverso una evoluta tecnica cinematografica, di un genere di film dogmaticamente postmoderno.
“Il grande capo” è lo sviluppo di una filosofia teatrale che parte dall’applicazione di un metodo di recitazione (nel caso, quello di un tale “Gambini”), usando tutti i linguaggi strutturali del teatro.

L’attore, nell’interpretare un capo, non scopre le sue strategie, ma impone le sue teorie, aiutato in questo dai suoi collaboratori, che rispettano gli schemi nei quali si muovono.


L’attore acconsente alle richieste dei subalterni, si fa apprezzare e voler bene. Ad un tratto rischia di far prevalere il personaggio che interpreta. Infine, liberato dalle logiche del personaggio, può finalmente recitare il suo autore preferito.

Al di là dei suoi “personaggi in cerca d’autore”, l’uomo dalla macchina da presa interviene a tratti come un dottore con la siringa ad interrompere i giochi dei suoi infantili pazienti. Perché non rimangano troppo presi dentro gli schemi e la commedia possa riprendere dinamicità.

Alla dialettica tra il “capo”, il “capo del capo”, il “vero capo”, e tutti i collaboratori, si aggiunge la ex moglie dell’attore, che scombina con i suoi suggerimenti tutti gli interessi contrapposti.
Per cui l’attore trasforma le sue strategie nei confronti degli altri personaggi fino a rompere il punto di equilibrio fra “recitare un ruolo” ed “esercitarlo realmente”.


Finché, arrivato all’incapacità di distinguersi nel suo sdoppiamento, viene scoperto dal personaggio più stolido di tutta la recita: il quasi macchiettistico compratore islandese: «Queste situazione è più assurda di una commedia di Gambini!».

Ed ecco girarsi tutti i luoghi comuni: lo stolido compratore dimostra una grande cultura, Gambini è conosciuto anche in Islanda, e così via.
Il premio per l’attore sarà quello di poter finalmente recitare il suo monologo preferito, l’opera di Gambini “Lo spazzacamino nella città senza camini”.

Il grande dilemma di Lars von Trier, che persegue con il suo cinema-dogma, è: “Qual è la creatività di quest’epoca post-moderna, se non proprio la ricerca delle creatività?”.



(Giovedì 8 Marzo 2007)


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