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Il maestro boemo e i poteri forti

Milos Forman e gli inquisitori

Fra Inquisizione spagnola e Rivoluzione francese


di Pino Moroni


L’ultimo inquisitore di Milos Forman è ancora una volta, coerentemente con tutta l’opera di questo autore, un film difficile sul potere o sulle regole immutabili di un qualsiasi regime.
In questo caso sia l’Inquisizione spagnola che la Rivoluzione francese. Infatti l’ultimo inquisitore (interpretato da Javier Bardem) è prima inquisitore come prete dell’Inquisizione spagnola (1792) e poi come giudice rappresentante del potere del popolo francese in Spagna (1807).

Come in Taking off (1971), il vecchio e il nuovo sono simili nelle loro formalità, ipocrisie e mancanze di spirito critico. Il ritorno indietro è quindi inevitabile.
Una constatazione così vera, nel momento in cui viviamo, e che Forman continua a descrivere da trentacinque anni. Nel suo ultimo film c’è di nuovo un grande genio, è il pittore Francisco de Goya, ma a differenza dei personaggi che hanno caratterizzato i suoi precedenti film (il Mozart
di Amadeuus, per dirne uno), questa volta il protagonista ha soltanto un ruolo di “osservatore”.

Milos Forman


Con le sue stampe, quasi disegni satirici, cerca di catturare le mostruosità che si annidano negli eccessi di qualsiasi potere. Il personaggio di Goya (Stellan Skarsgård) è però solo il filo conduttore della storia di Inés (Natalie Portman), una simbolica vittima del regime, che era anche una sua ispirante modella.
È colpevole solo di inconsapevole giovinezza. Sarà toturata, stuprata, imprigionata per quindici anni, le sarà tolta la figlia appena nata, uccisa l’intera famiglia, ed alla fine –ormai resa pazza- accompagnerà per mano il cadavere del suo torturatore.

Un film ambizioso in cui Forman ha voluto ripetere i motivi della sua cinematografia, forse non riuscendo a fonderli così bene come in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) ed in altri suoi capolavori, fra cui Amadeus (1984).
Per realizzare l’affresco storico di un periodo eccezionale come la fine dell’Ancien Regime, la rivoluzione francese, l’impero napoleonico e la restaurazione, Forman ha dovuto diluire e spezzettare i suoi concetti fondamentali durante l’arco del film.


Ne ha sofferto il filo del racconto, sia quello sociologico di una società comunque in fermento, sia quello psicologico di individui in piena crisi di identità.
Rimane la mano di un grande maestro, che ha fatto un film professionalmente perfetto ed inquietante, pieno di spunti che fanno sviluppare più piani di lettura (storico, romanzesco, filosofico) con un particolare approfondimento sul ruolo dell’arte.
L’arte si pone come riflesso della realtà, caricatura dei significati, satira del potere, glorificazione del potere, rappresentazione della società e spia dei suoi cambiamenti.
I personaggi collaterali sono degni di premi alla migliore interpretazione (Randy Quaid nei panni del re Carlo IV, Michael Lonsdale nel ruolo del capo dell’Inquisizione, José Luis Gómez che interpreta il padre di Inés). La musica è adatta, sempre pronta a sottolineare lo sviluppo delle tragedie umane.

Sui titoli di coda una mostra completa dei maggiori dipinti di Francisco de Goya, specie quelli del “periodo nero” e con l’indicazione di tutti i musei e le collezioni private dove sono contenuti gli originali. Un’ulteriore esposizione, tramite la pittura, di quali tempi convulsi abbia dovuto subire lo stesso pittore.


Milos Forman, alle sue origini, ha condannato il regime comunista cecoslovacco (Diario di una bionda, 1965 e Fuoco, ragazza mia, 1967). Ha poi vissuto negli USA ed ha criticato con i suoi film la società americana (Larry Flint, 1996 e The man on the moon, 1999).

Ora, secondo la sua stessa teoria, rischia di essere messo a tacere per il fatto di essere anche lui un artista scomodo, fuori dagli schemi e comunque eretico come i suoi personaggi.


L'opera del regista cecoslovacco-americano
Milos Forman
Personaggi fuori dagli schemi

L'ultimo film di Milos Forman
L'ultimo inquisitore
Nel cast Bardem e Portman



(Giovedì 19 Aprile 2007)


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