 Fuorilegge ironico e beffardo Russell Crowe Nel remake di Quel treno per Yuma
di Roberto Leggio  Russel Crowe rilancia il genere western, strizzando l’occhio a Sergio Leone. Col cappello, l’abito totalmente nero, è un fuorilegge cattivissimo e filosofo, nel remake di Quel Treno per Yuma, capolavoro anni ’50 di attesa e confronto tra morale e spregiudicatezza. Qui Russel dimostra di essere un vero fuorilegge del cinema, capace di incarnare con grazia innaturale personaggi dalle personalità diametralmente opposte. Dal gladiatore Maximus, al matematico disturbato, al marinaio di sua maestà, al pugile farfalla, è entrato nella loro pelle con corpo e anima. Lo stesso servizio l’ha reso con Ben Wade, cattivissimo fuorilegge nel remake Quel Treno per Yuma, western epico diretto da John Mangold, per il quale mi trovo ad attenderlo per l'intervista. Arriva vestito con una camicia nera e un paio di jeans. Una sorta di divisa di attore anticonformista, ma molto aderente al personaggio che è venuto a presentare. Uno smargiasso molto bravo. Infatti in molti hanno rivelato che la sua interpretazione di Ben Wade, sia molto più credibile di quella che fu di Glen Ford cinquant’anni fa. La morale di allora si è infranta con la spregiudicatezza del presente. Forza del tempo, potenza del cinema.
Lei entra facilmente nei personaggi che interpreta. Quanto è stato determinante il contributo che lei ha dato per interpretare Ben Wade? Ogni volta che devo “infilarmi” in qualcuno cerco di capire chi sia in realtà. Il mio contributo personale è importante per dare al personaggio quello spessore e realismo di cui ha bisogno. Spesso decido cosa potrebbe indossare. A volte è proprio l’abito che fa il monaco. Nel caso di Ben Wade, il cattivo della storia, il suo modo di vestire è complementare al suo modo di essere. Per quanto ne sappiamo non è il solito bandito che veste da semplice cow boy. Ha messo a segno del colpi che gli hanno fruttato 400.000 dollari. Quindi in qualche modo deve godersi la vita dopo aver assaltato un treno. Si vede dai particolari che è ricchissimo: ha la camicia di seta e la sua pistola ha un crocifisso d’oro sul manico…
I suoi modelli quali sono stati? Forse tutti, forse nessuno. Il bandito Wade è la proiezione di quello che ho sempre pensato del western…
E qual è, in sostanza? Non ho mai amato i western americani. Hanno un’etica semplicistica: il buono ed il cattivo. Il resto non conta. Amo i western di Sergio Leone o quelli australiani. Leone è stato l’unico che ha dato al genere quel realismo che invece gli americani avevano solamente immaginato. Nei suoi film non c’è la dicotomia classica del buono e del cattivo. Ogni personaggio cela una parte nascosta, che lo rende più interessante. In questo film, ad esempio, non ci si rende conto quanto Ben Wade sia cattivo. E’ un malvagio, ma si capisce che è anche un uomo con una certa cultura. E questa sua particolarità lo rende affascinante, una caratteristica che va al di là della concezione manichea del personaggio in sé.

Quanto si differenzia questo film dalla versione del 1957? Innanzitutto il rapporto tra i due personaggi è più approfondito. L’originale era tutto ambientato in una stanza, quindi molto claustrofobico, con un arco temporale molto ristretto. Il dialogo, poi era la vera forza del film. Qui invece, la storia ha tre giorni per svilupparsi, i personaggi hanno tempo per capire più cose dell’altro, e questo ha cambiato tutte le prospettive. L’analisi dell’anima e del cuore dei personaggi è la differenza maggiore tra i due film. Oltre a questo, la produzione, non si è dovuta confrontare con la morale e la conseguente censura tipica degli anni ’50. Non essendoci più il codice Haynes, abbiamo potuto mostrare il west com’era in realtà: violento e corrotto… e qui in un certo senso si ritorna e Leone.
Perché? Yuma è un western con i suoi classici elementi. Ma uno dei punti focali è la ferrovia. Il progresso che viene a scalzare il mondo dei cow boy. Il paese punta a cambiare radicalmente. Da li a poco i fuorilegge faranno parte della leggenda. La stessa cosa che raccontò, con meno epica, Sergio Leone in C’era una Volta il West…
Crede che Quel treno per Yuma, segnerà definitivamente la rinascita del western? Non credo., anche se in questi anni si è visto un ritorno del genere. Purtroppo molti film non avevano storie originali.
Dopo il bandito, lei si è “vestito” da bravo poliziotto in American Gangster di Ridley Scott. Si trova meglio nelle vesti cattivo o in quelli di buono? Non credo che ci siano delle differenze sostanziali. Mi piace interpretare l’essere umano in generale, perché è nelle sue contraddizioni che trovo lo stimolo per il mio lavoro. Ad esempio, non credo che il personaggio che interpreto in American Gangster sia davvero un “buono”: l’etica di una persona è data da un’insieme di fattori, che deve essere giudicata non per un singolo atto.
E dopo questo film che cosa sta preparando? Sarò un inviato di “guerra” in Body of Lies. Si tratta della mia quarta collaborazione con Ridley Scott. Con me ci sarà Leonardo di Caprio. Ma di questo è prematuro parlarne. Ti basta sapere che è una storia ambientata nell’Iraq attuale. La guerra è solo un contesto. Il resto te lo racconterò la prossima volta…
(Venerdì 19 Ottobre 2007)
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