 Incontro con l'attore alla vigilia dell'uscita di "Signorina Effe" Fabrizio Gifuni Dove interpreta il ruolo di un dirigente Fiat
di Oriana Maerini  Ha una grande formazione teatrale alle spalle e si vede. Fabrizio Gifuni è uno degli attori più bravi ed impegnati del momento. Diplomato nel 1992 all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico, ha lavorato molto in teatro, con Castri, Sepe e Terzopoulos. Debutta sul grande schermo con La bruttina stagionata. Dopo questo buon esordio ha interpretato, sempre con grande misura, film molto diversi tra loro per stile e genere, passando per Vite in sospeso (1998) di Marco Turco e La carbonara (1999) di Luigi Magni, fino ad arrivare a Qui non è il paradiso (2000) di Gianluca Maria Tavarelli e soprattutto a Il partigiano Johnny (2000) di Guido Chiesa, che ha rivelato appieno tutto il suo talento. Sempre nel 2000, Fabrizio Gifuni ha recitato, accanto alla moglie Sonia Bergamasco, in L'amore probabilmente, diretto da Giuseppe Bertolucci. Ma il grande pubblico lo ricorda, forse, per il ruolo del magistrato ne “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana, il film che gli permesso di guadagnarsi una popolarità anche oltre confine. Ora Gifuni è uno degli attori più richiesti dai nostri giovani autori e, oltre al film “Il dolce e l’amaro”, in concorso alla scorsa edizione del festival di Venezia, lo vedremo, fra poco, nel nuovo film di Winspeare di cui è coprotagosita e, dal 18 gennaio, nell' ultima pellicola diretta di Wilma Labate dal titolo: La signorina Effe. Altri due film drammatici e impegnati che raccontano storie d’amore a sfondo sociale, ma lui confessa che ha un sogno nel cassetto: poter recitare in una commedia.
Qual è il film al quale è più legato? Il sole negli occhi di Porporati. Interpretare il personaggio di un ragazzo che uccide il padre è stata una delle esperienze più complesse e difficili; ho dovuto rispondere ad una serie di domande interiori e superare degli ostacoli psicologici di non poco conto. La preparazione al personaggio ha fatto riaffiorare alla mia mente elementi di memoria emotiva che avevo dimenticato. Su un tema così atroce un attore è abbastanza scoperto: come si fa ad immedesimarsi volentieri con un parricida? Mi era piaciuto la sceneggiatura che rende la storia molto sobria e che affronta questo argomento in maniera per niente banale e scontata; distante anni luce dalle devastazioni medianiche dell’epoca dei fatti di Novi Ligure. Il film pone l’accento sull’origine del male e sul tema del delitto familiare scoprendo che l’Italia è il paese al mondo che ha la più alta percentuale di delitti in famiglia rispetto al numero degli abitanti.
Lei ama recitare in film impegnati diretti da giovani autori, perché? Solo in parte è una scelta. A volte è stata la casualità che mi fatto incontrare le determinate persone. Sono, comunque, contento di aver lavorato in questi anni per il cinema sia con grandi maestri come Liliana Cavani, Giuseppe Bertolucci, Gianni Amelio ma anche con tanti giovani registi che rispondono al nome di Tavarelli, Sordella, Porporati, Di Maio. Per quanto riguarda, poi, i film impegnanti non è affatto una scelta. Io scelgo le storie in base alle emozioni che mi provocano, non i generi. Non prediligo i drammi ed oggi avrei una voglia matta di tornare a fare delle commedie. Del resto ho iniziato con questo genere perché il mio primo film era la Bruttina stagionata. Il problema è che in percentuale si leggono meno copioni belli che riguardano storie leggere: si è smarrito il filone d’oro della commedia. Spero proprio che la mia voglia di recitare in una commedia, dopo tanti film drammatici, venga presto appagata.
E' visto come l’icona, sia al cinema che al teatro, dell’attore impegnato in senso civile e politico… In realtà credo che ogni film o spettacolo teatrale nasconda un messaggio politico perche si pone, consapevolmente o no a confronto con la polis ovvero la comunità rappresentata dal pubblico. Per assurdo anche con il film di Natale si può fare lanciare un messaggio di impegno civile è politico perché quest’ultimo non è legato ad un genere preciso.

Una scena di "La signorina Effe"
Progetti futuri? Ora sono impegnato con il nuovo film di Winspeare che, purtroppo, non è una commedia ma è una bellissima storia ambientata a Lecce e dintorni. Narra della relazione affettiva d’infanzia tra un ragazzo che diventerà un giudice antimafia ed una ragazza che diventerà un boss della sacra corona unita. La vicenda del film si svolge all’interno di questa storia pericolosa fra i due protagonisti: io sono il magistrato mentre la ragazza sarà interpretata da Donatella finocchiaro. Sono felicissimo di fare questo film perché era tempo che non leggevo una storia così bella e anche perché Edoardo è un regista che amo moltissimo e il fatto che mi abbia scelto è una cosa che mi gratifica.
Poi c’è un’altra storia drammatica…. Si, Il film diretto da Wilma Labate, che uscirà fra poco nelle sale dal titolo: La signorina Effe. E’ una storia ambientata nei 35 giorni di sciopero che ci furono nel 1980 alla Fiat e tratta dal documentario di Giovanna Bousier. Anche questa è una storia d’amore che si intreccia con la realtà sociale dell’epoca. Io interpreto Silvio, un ingegnere della fiat che è fidanzato con la protagonista (Valeria Solarino) che è una ex operaia promossa ad impiegata.
E in teatro in che panni la rivedremo? Quest’anno riprenderò lo spettacolo di Giuseppe Bertolucci su Pasolini. Poi ho messo in scena, insieme a Sonia Bergamasco ed a tre jazzisti con Danilo Reale, Trovasi e Damiani, un lavoro molto divertente sull’epistolario mozartiano che si chiama “I kiss your hands”
Com’è cambiata la sua vita dopo il successo de “La meglio gioventù? Sicuramente c’è stata per me, come per gli altri attori, l’esposizione ad certo tipo di popolarità perché c’è stata una cassa di risonanza fortissima intorno al film. A distanza di anni ancora la gente mi riconoscere per la strada proprio per quel personaggio. Sino alla meglio gioventù avevo già fatto un percorso e la mia vita lavorativa non è cambiata molto.
Lei crede nella rinascita del cinema italiano? Sono 10 anni, da quando ho iniziato a lavorare dopo l’accademia, che, ogni anno, sento parlare di crisi e rinascita del cinema italiano a seconda che un film venga rifiutato ad un festival importante o due film di cassetta facciano grandi incassi al botteghino. Questo vuol dire parlare sul nulla visto che tutto è esposto alla casualità ed alla circostanze del momento. Se faccio, invece, un’analisi sullo stato di salute del cinema partendo dal mio lavoro traggo un bilancio positivo. Negli ultimi anni c’è stato un maggior impiego sugli attori italiani e credo che siano venute alla luce una o due generazioni come non se ne vedevano da tempo.
Qual è il motivo di questa rinascita? E’ facile da spiegare: ad un certo punto c’è stata una crisi dell’attore che ha riportato i registi di cinema a teatro e, conseguentemente a riscoprire gli attori teatrali. Prima per me, Lo Cascio e tutti glia altri lavorare in teatro significava avere un marchio d’infamia: al cinema non ci facevano fare neanche i provini! Eravamo considerati dei tromboni noiosi come noiosa era l’immagine del teatro. Si è creata la separazione delle carriere che è una fesseria assoluta.
Molti attori detestano fare televisione, qual è il suo rapporto con questo mezzo? La meglio gioventù in questo è stata determinate: quel prodotto era nato per la tv ed ha dimostrato che era un ottimo prodotto cinematografico. Questo ha dato a molti di noi l’illusione che sia possibile fare cinema in tv. Bastano delle storie non scontate, dei bravi attori, dei registi competenti ed ecco che il film televisivo diventa cinema isto su un supporto più piccolo. In questo senso “La meglio gioventù” non ha aperto una breccia. Io sono stato fortunato perché in televisione ho lavorato sempre con grandi maestri: ho fatto De Gasperi diretto da Liliana Cavani e “Le cinque giornate” con Lizzani,
Come hai scoperto la passione per il mestiere dell’attore? Ho sempre avuto una grande curiosità mimetica, imitativa. Mi ricordo un episodio che ha segnato la mia vita a sette anni: finsi, al telefono con mia nonna, di essere mio zio che ne aveva 72. Parlammo per mezz’ora senza che lei si accorgesse che ero io. Questo mi spaventò perché non sapevo come dire che era uno scherzo. Raccontati tutto ai miei genitori con un grande senso di colpa ma loro reagirono bene: mi dissero che era una cosa bellissima e mi spinsero a telefonare tutte le settimane a mia nonna fingendomi lo zio per farla sentire meno sola. Recitare già da allora era una cosa che mi riempiva della grande euforia del gioco ma anche di grande spavento: c’era un qualcosa di demoniaco nel fingere sempre di essere un altra persona.
(Giovedì 27 Dicembre 2007)
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