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Documentario su Wesley Cook alias Mumia Abu Jamal

In prigione tutta la mia vita

Opera fredda e lucida quella del regista Marc Evans


di Samuele Luciano


Il film comincia con un piccolo timer su un angolo basso dello schermo nero.
Qui scorrono i secondi di un intero minuto.
Nel buio della sala rimbomba la voce profonda di un uomo: “immaginate un minuto intero nel Braccio della Morte, chiusi in una cella grande quanto il vostro bagno…”
Passato il minuto, il timer scorre velocissimo fino a sommare tutti i minuti trascorsi dal nero Mumia Abu Jamal nel Braccio della Morte fino a quel momento.
Subito dopo vengono proiettate le immagini di un bambino bianco: è l’album fotografico di William Francome.
Le foto scorrono veloci illustrando la crescita di Will fino all’età di 25 anni, lo stesso tempo trascorso da Mumia in prigione.
Il documentario di Marc Evans sul celebre attivista politco di colore Wesley Cook alias Mumia Abu Jamal, condannato a morte e tuttora in attesa dell’esecuzione, si costruisce su questo semplice dato di fatto: in quella notte dell’81 nacque Will Francome e la sua vita rappresenta l’esatta durata della detenzione di Mumia.
Il film ha come protagonista proprio Will, che attraversa gli USA per incontrare tutte le persone coinvolte in questa annosa vicenda giudiziaria, nel tentativo di ricostruirne il contesto storico e le dinamiche che l’hanno provocata: Will è la vita di Mumia che mette le gambe, alla ricerca di testimonianze e prove sulla sua innocenza.



Il 9 dicembre 1981, all'alba, Mumia Abu-Jamal fu gravemente ferito nel corso di una sparatoria nel quartiere sud della città, dove aveva appena portato un cliente. Arrestato, fu accusato dell'omicidio di un poliziotto, Daniel Faulkner ucciso in quella sparatoria. Malgrado i suoi dinieghi e l'assenza di suoi precedenti giudiziari, un'inchiesta molto discussa (a livello delle perizie balistiche, dei rilievi di impronte, delle prove non effettuate etc.) portò all'imputazione di Mumia e alla sua comparizione davanti al tribunale di giustizia della Pennsylvania.
Ma la condanna di Mumia non può trovare nel razzismo la sola spiegazione. Quest’uomo era schedato dall’FBI già da quando aveva 15 anni, perché aveva messo il nome di Malcom X al suo liceo. Giornalista, appartenete alle Pantere Nere (storica organizzazione rivoluzionaria afroamericana), Mumia ha dedicato la sua giovinezza a dare voce a chi non ha voce, in nome del legittimo quanto ambito diritto alla libertà di ogni uomo.
Opera fredda e lucida quella del regista Marc Evans, strutturata come le pagine di un notebook (mentre scorrono i fotogrammi si possono sentire i polpastrelli sulla tastiera) non scivola mai nel ricatto emotivo, come fa un film di genere (vedi “Hurricane”), proprio per mettere lo spettatore di fronte ai dati, come a determinare quella giuria spontanea e scevra da pregiudizi razziali a cui Mumia non ha mia avuto diritto.
Emozionanti le interviste ad Alice Walker, premio Pulitzer per “Il colore viola” e Angela Davis, militante anch’ella delle Black Panther Party.
Emblematica la scena in cui Will riflette davanti al monumento di Rocky Balboa a Philadelphia: come è possibile che una città che ha dato i natali a due pugili neri, campioni del mondo, abbia dedicato una statua solo ad un campione inventato?
Quest'anno dovrebbe esserci un nuovo processo, come spiega l'avvocato difensore di Mumia, che in un modo o nell'altro dovrebbe portare alla conclusione del caso. Chissà se alla fine trionferà la giustizia o il pregiudizio.

giudizio: * * *



(Giovedì 7 Febbraio 2008)


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