 Spumeggiante come una birra canadese La canzone più triste del mondo Al cinema Politecnico di Roma
di Sandro Russo  Una crudeliademòn di nome Lady Helen Port-Huntley (Isabella Rossellini), ricca proprietaria di una fabbrica di birra di Winnipeg (Canada) si è incattivita in seguito a un incidente per cui le hanno amputato entrambe le gambe (invece che una). Un vecchio medico alcolizzato Fyodor Kent (David Fox) è il responsabile dell’errore. Era a quel tempo, ed è tuttora, innamorato di lei. Senza speranza, considerato per di più il danno che le ha causato la sua imperizia. Il vecchio medico ha due figli: Chester Kent (Mark McKinney) è un impresario teatrale senza scrupoli, ed è già stato amante di Lady Helen: ricompare ora per sfruttare l’occasione. L’altro è Roderick Kent (Ross McMillan), ipersensibile e tenebroso, è emigrato in Serbia dove ha trovato l’amore e un figlio. Successivamente li ha persi entrambi: lei scomparsa e il bambino morto. Il padre ne conserva il cervello in una boccia, immerso nelle sue lacrime. I due fratelli si odiano. Forse la nuova amante di Chester, colpita da amnesia, è proprio Narcissa (Maria de Medeiros), la moglie perduta da Roderick.
Si ritrovano tutti riuniti all’inizio del film per partecipare ad un grande concorso a premi -la bella cifra di 25.000 dollari- indetto dalla dark lady per promuovere la sua birra in vista dell’auspicata fine del proibizionismo (il film è ambientato nel 1933, verso la fine della Grande Depressione). Alla kermesse, trasmessa con grande enfasi per radio, partecipano artisti e gruppi provenienti da tutti i paesi del mondo che si sfidano per “La canzone più triste del mondo” del titolo…
 Da questo plot melodrammatico – dotato peraltro di una pregevole coerenza interna- il regista canadese Guy Maddin compone un film notevole, dove la sovrabbondanza barocca non appare mai come un difetto. Il soggetto originale è di Kazuo Ishiguro ("Quel che resta del giorno", 1993) ma il regista vi aggiunge un mezzo tecnico, che è usato in modo fantasmagorico: dal bianco e nero d’epoca, sgranato e flou, al colore più vivido. I personaggi sono disegnati come archetipi (alla Rocky Horror Picture Show), la visionarietà è comparabile – anche se di diverso registro - a quella del miglior Terry Gilliam. In una tensione continua, il film ha una quantità di registri, dalla saga familiare alla notazione antropologica (i vari gruppi etnici celebrano ciascuno a suo modo la tristezza e il dolore), alla riflessione surreale sulla vita e sulla morte. Sull’amore e sui sogni.
Titolo originale: The saddest music in the world Regia: Guy Maddin Produzione: Canada, 2003 Durata: 100' Interpreti: Mark McKinney, Isabella Rossellini, Maria De Medeiros, David Fox, Ross McMillan Sceneggiatura: Guy Maddin e George Toles dal soggetto di Kazuo Ishiguro) Fotografia: Luc Montpellier Scenografia: Matthew Davies Montaggio: David Wharnsby Costumi: Meg McMillan Musiche: Christopher Dedrick
Il film è del 2003. Per una defaillance distributiva, lo vediamo solo adesso in Italia. Per di più d'estate, in una sola sala, per una sola settimana. Il regista canadese Guy Maddin – quasi sconosciuto da noi, ma presente sulla scena internazionale fin dai primi anni ’90 - ha stabilito con questo film un forte sodalizio professionale con Isabella Rossellini, che dirige successivamente (2005) anche in un film che si è visto a Torino (23° Torino Film Festival – fuori concorso): “My father is 100 years old”. Mio padre ha cento anni, proiettato anche all'Auditorium di Roma in occasione della mostra celebrativa del centenario del grande regista, è una originale e irriverente rievocazione del grande padre da parte di Isabella, che traccia un divertente ricordo familiare e -anche da sceneggiatrice- ricorda Roberto Rossellini e gli altri registi del tempo.
(Mercoledì 23 Luglio 2008)
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