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È anomalo l’agente 007 dei nostri giorni

Quantum of solace

Due autori di spessore per uno strano thriller


di Piero Nussio


Dunque, se James Bond fosse un personaggio della realtà, considerando che avesse almeno 25 anni all’epoca del suo primo film (Licenza di uccidere, “Dr. No”, 1962), oggi avrebbe 71 anni e sarebbe da tempo in pensione.
Invece, giunto al 22° film con la faccia di Daniel Craig, salta e corre come un grillo più ancora di quando, con quel certo aplomb britannico, ha iniziato a servire i destini del servizio segreto di Sua Maestà.

Sua Maestà, ad esempio, non è cambiata: c’era Elisabetta II da onorare nei servizi e c’è ancora oggi.
Il capo invece è cambiato, o meglio ha cambiato addirittura sesso.
Il mitico “M” da cui dipendevano gli agenti segreti col doppio zero, l’ammiraglio Miles Masservy come ci racconta lo scrittore Ian Fleming, diventa senza nessun problema una donna, interpretata da Judi Dench.

"M" è diventato donna


D’altronde, a dare ascolto a Ian Fleming, l’agente 007 sarebbe nato nel 1924 ed avrebbe iniziato la carriera nel 1941 –in piena guerra mondiale-. A volergli un gran bene, nonostante le sue spericolate avventure e pur fidandosi delle proprietà taumaturgiche del cocktail Martini, oggi l’inossidabile agente dovrebbe quindi avere ottantaquattro anni (e 67 anni di servizio…). Decisamente troppi.
Specie per un mondo che cambia così velocemente: il Muro di Berlino è crollato, ed il comunismo con lui. E questo, per un agente segreto occidentale è già un bel guaio. Cinesi, giapponesi, corani e vietnamiti sono alleati e partner commerciali.
I nemici sono in Al Quaeda, ma i sassi dell’Afghanistan non sembrano essere adatti a James Bond. Così, almeno, la pensa Paul Haggis, sceneggiatore dell’ultimo film.
Paul Haggis, canadese cinquantenne, è davvero uno sceneggiatore che vorrei conoscere: si fa un po’ di gavetta in TV (com’è giusto che sia), e poi al primo film vince un Oscar (Crash, 2004). Realizza poi: Million dollar baby (2004), Lettere da Iwo Jima e Fags of our fathers (2006) e Nella valle di Elah (2007).
Questa stessa persona, con la sua conoscenza dei drammi della seconda guerra mondiale, dello spezzettamento delle nostre vite post-umane, con la consapevolezza delle atrocità che si attuano nelle “guerre arabe” degli americani, si mette a scrivere le avventure di Bond…

Bond in azione


E Paul Haggis è anche recidivo, perché tutto il filone «Daniel Craig» è opera sua: ha iniziato con Casino Royale nel 2006, ha continuato quest’anno con Quantum of solace e probabilmente insisterà con il 23° film, sempre con l’attore sosia di Vladimir Putin.
E c’è tutto un progetto sottostante. Il film Quantum of solace è un “seguito”, nel senso che gli avvenimenti narrati in Casino Royale costituiscono premessa (anche temporale, è stato calcolato che il secondo film inizia venti minuti dopo la fine del primo film).

Certo, vedendo il film –e apprezzandone ritmo e realizzazione- molti fra il pubblico si chiedevano che storia fosse, così inutilmente complessa e poco comprensibile.
Un tempo il mondo era semplice: Bond era un maschio scozzese (Sean Connery, se qualcuno l’avesse dimenticato…), che guidava Aston Martin, beveva Martini e combatteva i Russi del KGB, con l’aiuto di belle donne come Ursula Andress, con cui copulava a metà del primo tempo e a fine film.

Bond e Bond girl


Adesso c’è Daniel Craig nato sei anni dopo “Licenza di uccidere” (in effetti, potrebbe essere nato dagli amori di Bond con Ursula Andress…) nel Cheshire inglese. E, come il gatto del Cheshire di Alice nel paese delle meraviglie lasciava di sé solo il sorriso, il biondino inglese lascia solo il ciuffetto in ricordo della sua recitazione. Ed una somiglianza sconvolgente con Vladimir Putin, ex agente del KGB e poi presidente russo.
C’è qualcosa che non torna più, nel mondo semplice e manicheo di Bond: l’agente è un simil-russo, il capo è una donna, e i nemici non si capisce chi siano, e di mestiere rubano acqua!
Vorrei proprio incontrare Paul Haggis, per capire da lui tutto il senso di questa operazione. A me sfugge.

Vero che Bond è una specie di fumetto, che non cambia e non invecchia. Ma allora dovrebbe bere Martini (e non uno strano, complicato cocktail). Poi dovrebbe presentarsi come «Sono Bond, James Bond» e dovrebbe copulare.
La ricetta dei film dell’agente segreto è rimasta, negli anni, abbastanza invariata. “Bond girls, più che un ruolo è stata una professione: si ricordano, dopo il bikini mozzafiato di Ursula Andress, le italiane Daniela Bianchi, Luciana Paluzzi e Maria Grazia Cucinotta, poi Shirley Eaton dipinta d’oro in Goldfinger, le eleganti francesi Corinne Clery , Carole Bouquet e Sophie Marceau, addirittura la cantante Madonna (su Wikipedia l’elenco completo).

Nel deserto di Atacama


Ma, insieme alle belle donne ed ad una canzone che ogni volta segnava un’epoca, c’erano trame relativamente semplici (un cattivo super-organizzato che vuole conquistare il mondo, e l’agente Bond che faceva miseramente fallire i suoi piani in un turbine di effetti speciali) ed un po’ di bel mondo per lustrare gli occhi degli spettatori.
Ora, 22 film dopo, molto è rimasto di quell’impostazione: belle donne ci sono sempre (anche se Bond non ci copula più) e, nell’ultimo è la stupenda Olga Kurylenko. Ma, invece di essere una bellissima fatalona, sta sempre unta di grasso e fango.
La canzone del tema è “Another Way to Die”, cantata da Alicia Keys. Niente da ridire al riguardo, ma la storia dell’esclusione di Amy Whitehouse e poi di Beyoncé forse sarebbero state, per la trama, più interessanti delle avventure di spionaggio narrate.
E poi uno spreco di locazioni, per le riprese in esterni: Panama, deserti del Cile e tanta Italia (Palio di Siena, scoglio di Talamone, cave di Carrara, lago di Garda). Persino le spettacolari riprese nel teatro austriaco di Bregenz hanno un che di italiano, visto che vi si rappresenta la Tosca di Puccini.
Ma troppe “location” è come dire nessuna, perché –tranne le scene del Palio- non c’è nessun luogo che si fissi nella memoria, che evochi il sogno.
Così come la trama, l’avventura, i cattivi. Troppa carne al fuoco, ricordi dei film precedenti, acqua più importante del petrolio, servizi segreti infiltrati e deviati, affaristi in combutta coi politici, colpi di stato in Sudamerica…
Questa è la realtà, non un film di avventure!

Il Palio di Siena


E torniamo allora alla realtà. Paul Haggis, lo sceneggiatore, esperto di guerra in Iraq (Nella valle di Elah) e di guerre nel Pacifico (Fags of our fathers), oltre che di tragedie metropolitane (Crash e Million dollar baby). Insomma, di quasi tutto il cinema americano che vale qualcosa.
Marc Forster, il regista, autore de Il cacciatore di Aquiloni (2007). Se c’è qualcuno esperto dei veri scenari del conflitto internazionale è lui, che ha ambientato nell’inferno afghano il suo film (vedi, sulla rivista "O", l'intervista di Lorenza del Tosto).
Due persone del genere non dovrebbero realizzare Bond, nemmeno per avere “Un momento di requie” (è la traduzione italiana del titolo, Quantum of solace). Perché le loro menti sono troppo complicate per un banale film d’avventura.
Vedendolo, chi era abituato al “vecchio Bond” ha provato quel senso di disagio di chi sta ascoltando un racconto quasi perfetto, ma in realtà poco veritiero. Vedremo, dai risultati al box office, se questa sensazione fosse solo di noi spettatori un po’ datati…


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(Martedì 11 Novembre 2008)


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