 A Rimini nell'ambito del convegno "Mezzo secolo da La dolce vita" Manoel De Oliveira Stasera riceverà il premio della Fondazione Fellini
di Oriana Maerini  Rimini. Cent’anni ma non li dimostra. Il maestro portoghese Manoel De Olivera, uno dei più longevi e prolifici del mondo, li compirà esattamente il prossimo 11 dicembre, ma a vederlo, durante la conferenza odierna presso la Cineteca comunale, gliene daresti venti di meno. Il regista de “Il passato e il presente” risponde con dovizia di particolari alle domande ed alle curiosità di pubblico e stampa presenti in sala riguardo il suo cinema ed il rapporto con Federico Fellini. Stasera il maestro riceverà, ex aequo con Tullio Pinelli, il premio della fondazione Fellini che, come ogni anno, a latere del convegno di studi felliniani (quest’anno dedicato a “Mezzo secolo da “La dolce vita” ) viene assegnato a personalità che si sono distinte in campo cinematografico.
Qual è il film di Fellini che ha amato di più? La strada perché è un film molto forte. Spiega bene l’evoluzione umana; il processo attraverso il quale un uomo brutale che non ha coscienza di sé l’acquisisce e si rende consapevole della propria umanità.
E la dolce vita? E' rimasta impressa nella mia mente la scena in cui c'è un angelo che si vede da lontano. E' una figura un po' umana e un po' trascendentale. Rappresenta anche l'angelo custode del destino che ci comanda, ma a volte si dimentica di guardarci.
Il suo cinema è stato influenzato dall’opera di Fellini? No, un’influenza diretta non esiste ma, il cinema, come la vita, si nutre di influenze sotterranee ed a volte inconsapevoli. Per me Fellini rappresenta in assoluto il regista italiano che più ha espresso la sua italianità. Ha costruito un cinema forte e bello in un periodo in cui l’Italia si realizzavano pellicole che hanno lasciato il segno nella cinematografia mondiale.
Ricorda una scena che più le è rimasta impressa nella memoria? Si, la scena in cui la prostituta Cabiria, interpretata da Giulietta Masina, si reca al santuario e lei sola, nella confusione della folla, nota un gradino sotto il quadro della madonna è qualcosa di incomparabile. Un particolare di grande cinema che solo un maestro poteva esprimere.
Quest’anno ha presentato a Venezia il cortometraggio Do Visivel ao Invisivel, qual è il segreto del suo cinema riguardo al concetto di incomunicabilità? Riguardo l’incomunicabilità abbiamo avuto un grande autore: Michelangelo Antonioni. Un uomo che conoscevo personalmente che, verso la fine della sua vita, non riusciva a parlare: è stato scioccante apprendere che aveva perso l’uso della parola perché credo che avesse ancora molte altre cose da dire attraverso il suo cinema. Per me l’incomunicabilità significa non riuscire ad esprimere quello che vogliamo mettere dire nel presente. Oggi esiste una grande forma di incomunicabilità dovuta all’uso dei cellulari e di internet: questi mezzi rappresentano, in qualche modo, la fine della comunicazione diretta fra le persone perché ci permettono di dialogare in modo solitario attraverso degli schermi. schermi.
Il suo rapporto con la fede? E’ importante. Credo che la fede rappresenti l’unica luce alla fine del tunnel quando ci avviciniamo alla morte.
(Sabato 15 Novembre 2008)
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