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Quando il mondo dell’infanzia fa paura

The Orphanage

Un racconto inquietante tra horror e fiaba nera


di Paola Galgani


Il primo film del talentuoso Juan Antonio Bayona, pluripremiato in patria e in corsa per gli Oscar europei, si inserisce a pieno titolo nella nuova ‘ondata iberica’ il cui capofila è appunto il modello dichiarato di Bayona, del Toro, che ha prodotto e presentato il film.
Anche la sceneggiatura è di un giovane autore spagnolo, Sergio G. Sánchez; la protagonista è Laura, che ha passato l’infanzia in un orfanotrofio e da adulta decide di ristrutturarlo per aprirvi, col marito, una casa famiglia per bambini disabili. La coppia va dunque a vivere nell’edificio col figlioletto adottivo, che è sieropositivo; appena giunti sul posto, pero’, il bambino inizia a vedere sempre più di frequente degli amichetti immaginari che gli inviano strani indizi perchè lui li raggiunga per giocare con loro. Laura, che all’inizio assieme al marito ritiene il tutto una fantasia infantile, si rende conto che questa ha a che fare col suo passato nell’orfanotrofio e quando la vita di suo figlio sarà in pericolo non esiterà a seguire l’istinto, nonostante nessuno le creda.


The Orphanage non è propriamente un horror ma un mix di generi che richiama vagamente le atmosfere de Il labirinto del Fauno, non tanto visivamente, essendo assai più povero sia per ambientazioni sia per effetti speciali (peraltro premiati), ma piuttosto per la medesima serietà con cui prende in considerazione e rende protagoniste le fantasie infantili di cui molti adulti sembrano aver smarrito ogni traccia. Non è cosi’ facile rituffarsi in un mondo in cui un piccolo particolare, una conchiglia o una carta di un gelato o una libellula rappresenta un tesoro, un indizio verso un mondo magico che attende solo di svelarsi ai nostri occhi, in cui qualcuno chiama disperatamente, che sia un fauno nel suo antro o un bambino deforme nella sua grotta, e solo i più piccoli hanno il potere ‘magico’ di percepire quella voce e la possibilità di rispondere all’appello. Se nell’infanzia per calarsi in quell’isola bastava un istante, il tempo di sfogliare un libro di fate o di Peter Pan, nell’età adulta è difficilissimo distaccarsi dalla razionalità e dagli automatismi; il padre infatti non ci prova nemmeno mentre la madre, trascinata dall’istinto disperato, riesce a sentire il tintinnare di ‘Campanellino’ e a mettere le ali volando verso una dimensione in bilico tra presente e passato in cui suo figlio non morirà mai.


L’angoscia per la morte imminente provoca nella mente della protagonista un ritorno delle immagini nebulose del suo passato che pensava dimenticato (e che noi vediamo nei suggestivi fotogrammi di un vecchio proiettore); il viaggio progressivo della sua mente ci viene raffigurato con intensità ed eleganza da Bayona che nonostante qualche incertezza e qualche inevitabile ingenuità riesce nella non facile impresa di aggiungere qualcosa di nuovo e prezioso ad un genere inflazionato. Non mancano i momenti canonici dell’horror in cui è impossibile non vedere l’influenza dei maestri come Hitckock, inevitabile menzionare The Others o, per le controcarrellate lungo i corridoi del maestoso edificio, non si puo’ non pensare a Shining. Ma anche nei dettagli visivi non manca l’originalità, dal costume del ragazzino deforme agli oggetti della caccia al tesoro, per non parlare della potenza delle mute apparizioni durante il gioco ‘Un, due, tre, stella’, che fa proprio riferimento a quella dimensione sospesa in cui si ferma il tempo. L’appassionata interpretazione della Belèn (la protagonista di Mare dentro) salda le poche incongruenze della sceneggiatura per dar vita a una fiaba nera emozionante e convincente da tutti i punti di vista, che ci auguriamo sia il punto di partenza per altri intensi viaggi nella fantasia.

Giudizio: ***


Incontro con il giovane regista spagnolo che ha stregato l'America
Juan Antonio Bayona
Con il suo affascinante "The Orphanage"



(Giovedì 20 Novembre 2008)


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