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 America oggi. Un cambiamento è possibile? L'ospite inatteso Un piccolo film che suscita grandi emozioni
di Sandro Russo Il professore va al congresso, e la vita gli cambia. Il Professore è Walter Vale (Richard Jenkins, una faccia molto conosciuta al cinema, qui per la prima volta in un ruolo da protagonista). Fa il professore di economia in una piccola università del Connecticut. Stanco del suo lavoro, poco entusiasta di tutto, vedovo. Vive di rimessa, prendendo stanche lezioni di pianoforte (la moglie era una bravissima pianista). Ora, senza che ne abbia la minima voglia, deve andare a presentare un lavoro di cui è solo co-autore ad un congresso a New York. Lì ha anche una casa dove viveva con la moglie, ma non ci va spesso. La sorpresa comincia quando la trova abitata. Non occupata, ma affittata a sua insaputa, ad una coppia di stranieri: un giovane siriano (Tarek: Haaz Sleiman) e la sua ragazza senegalese (Zainab: Danai Jekesai Gurira); senza permesso di soggiorno, ma per il resto ben integrati, giovani e positivi. Dopo la comprensibile sorpresa iniziale e chiarito l’equivoco, i ragazzi devono trovarsi un altro posto dove andare: lui che è una persona gentile li invita a rimanere finché non l’hanno trovato. E qui comincia l’avventura. Il viaggio nella conoscenza reciproca. Abitudini, modi di comunicare, differenze culturali e religiose radicate. Un contatto propiziato in questo caso dalla musica, anzi dal ritmo, perché Tarek è un bravissimo suonatore di djembè, il grosso tamburo a stelo alto e a forma di calice, di origine africana e Walter se ne scopre affascinato. Mentre Zainab, musulmana praticante, è più scontrosa e diffidente.

La prima parte del film è su questa scoperta reciproca, fino a quando Tarek, per un banale equivoco ai tornelli della metro, non viene fermato dalla polizia e annesso alle patrie galere per immigrazione illegale [L’istituzione è la UCC – United Correctional Corporation – che è un sistema tutto americano (ancora ignoto da noi, ma per quanto ancora?) di appalto ai privati di una struttura detentiva]. Comunque Tarek è dentro, e Walter si dà da fare per farlo uscire, ma è tutt’altro che facile, perché la struttura è monolitica e pressoché impenetrabile ad influenze esterne. La storia si complica ancora quando Mouna, la mamma di Tarek, preoccupata per il figlio, arriva dal Michigan a New York; e anche lei si ritrova ospite nella casa di Walter (l’attrice è la brava Hiam Abbass, già apprezzata ne ‘La sposa siriana’, di Eran Riklis - 2004). Ed è la seconda marcia del film, con un ulteriore deragliamento di Walter dalla vita cui era abituato. Perché lavorando al fine comune di far uscire Tarek di galera, i due si incontrano e si apprezzano. È la scoperta da parte di cuore-in-inverno Walter di un mondo tutto nuovo, fatto di presenze, sapori, emozioni; la vertigine della novità in un momento della vita in cui sembra di aver già tutto visto e vissuto e che niente possa più stupire. E insieme la scoperta di un’America che credeva di conoscere, ma che in pochi anni è cambiata in qualcosa di nuovo e di tremendo:
“È come in Siria” – dice sconsolata Mouna di fronte alla difficoltà di trovare uno spiraglio per la liberazione del figlio. E non a caso viene mostrato un piccolo viaggio della memoria, di Walter, Mouna e Zeinab, su un traghetto nella baia di New York, a "ri-vedere" la Statua della Libertà «...e dietro c’è Ellis Island», che nell’immaginario universale è rimasta come le braccia con cui l’America accoglieva gli immigrati. «L’America ha bisogno degli immigrati», dice anche un manifesto nella sala d’aspetto della UCC.

Che mondo ci siamo costruiti! Tra la capacità di immaginare una concordia tra razze e modi di vivere differenti – come nel momento magico della jam-session di percussioni, musica e danze nel parco – e l’impossibilità di realizzarlo; la repressione, la fine della speranza. Ed è ironico che il cambiamento e la liberazione di Walter passino attraverso la chiusura di un grande paese in se stesso per eccesso di difesa, e della preclusione ad altre persone dell’americam dream.
L’ospite inatteso è insomma un piccolo film che suscita grandi emozioni e aspettative (“un film che apre l’era Obama”, titola Paolo D’agostino su ‘Repubblica’). Ma anche una bella storia personale e sociale; una scrittura filmica che procede a piccole apposizioni successive, che affida molto alle espressioni degli attori il compito di mandare avanti l’intreccio. Quattro prove di attori tra cui svetta quella di Richard Jenkins, di cui da più parti si parla come possibile candidato all’Oscar come miglior attore protagonista; ma i tre comprimari non sono da meno. Rimangono a lungo nel ricordo il viso inconsueto di Zainab, che si apre alla gioia e all’empatia per la prima volta a oltre metà del film, quando incontra la madre di Tarek; i sorrisi di Tarek; l’intensità dolorosa di Mouna. Il finale vede Walter Vale, con lo djembè che gli ha lasciato Tarek, fendere la folla dell’ingresso alla metropolitana, per andare a gridare la sua personale protesta contro un sistema che non condivide più: la stessa determinazione e luce negli occhi che ricordiamo sul volto di Marcello Mastroianni in “Sostiene Pereira”. La protesta di un piccolo uomo che ci rappresenta, nell’inanità della posizione del singolo nel cambiare il mondo, ma con l’insopprimibile necessità di testimoniare.
L'ospite inatteso (The Visitor)
REGIA: Thomas McCarthy SCENEGGIATURA: Thomas McCarthy ATTORI: Richard Jenkins, Hiam Abbass, Haaz Sleiman, Danai Jekesai Gurira, Marian Seldes FOTOGRAFIA: Oliver Bokelberg MONTAGGIO: Tom McArdle MUSICHE: Jan A.P. Kaczmarek PRODUZIONE: Groundswell Productions, Next Wednesday Productions, Participant Productions DISTRIBUZIONE: Bolero Film PAESE: USA 2007 USCITA CINEMA: 05/12/2008 GENERE: Drammatico, Romantico DURATA: 104 Min FORMATO: Colore
(Lunedì 8 Dicembre 2008)
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