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![]() Un palcoscenico come non luogo di violenza Gomorra Il capolavoro di Saviano a teatro di Roberto Leggio ![]() Gomorra è un limbo. Un non luogo di sopraffazione, violenza, sangue e morte. Un posto diventato tale grazie a quella “cosa” chiamata Camorra. Un nome che mette paura e che evoca la peggiore piaga della Campania. Gomorra sono i numeri da guerra dei 3700 morti in trent’anni. Gomorra è anche traffico di droga, di armi, di smaltimento illegale di rifiuti tossici, di pret-a-porter a costo zero. E’ la parte oscura di gioventù bruciata. Di pistole in mano a “bambini” senza cultura. Di mitragliatori come giocattoli. Di soldi facili. Di vittime collaterali. Gomorra è il buco nero dell’anima di Napoli e i suoi dintorni. Gomorra è l’inferno. L’abisso che Roberto Saviano ha raccontato nel suo libro è diventato un film. E adesso (ma già da qualche tempo) un dramma teatrale. Così vedere le parole del giovane scrittore su un palcoscenico è fare un salto in un mondo impazzito. Dove la violenza la fa da padrona. Dove i dialoghi sono frustigate di cattiveria. Dove anche gli attori diventano carne e sangue della denuncia civile. E lo fanno con un coinvolgimento mimetico. Entrando nella pelle di quei personaggi reali che gli occhi di Saviano hanno visto, sondato, toccato. ![]() Il dramma è un po’ un riassunto del libro, dove vengono trattate alcune tra le storie più rappresentative. Le vite più “necessarie” da raccontare. Il sarto “clandestino” che vede l’abito, cucito per poche lire, addosso ad Angiolina Jolie; il “trafficante” di rifiuti tossici; la parabola discendente di due “sciamannati” che da piccoli spacciatori diventano killer di poco conto. Dell’amico che scopre la potenza del Kalashnikov. Tutti frullati assieme perché la materia dei “reportage” di Saviano era così tanta, da non poter essere concentrata in un unico spettacolo. Così le storie sono tenute assieme da un collante narrativo di forte impatto visivo. Il merito va alla rutilante regia di Mario Gelardi, che fu il primo a comprendere come gli scritti (che ancora non erano diventati un libro) potevano diventare un progetto teatrale. Ma sono soprattutto gli attori a rendere questa versione da palcoscenico, coinvolgente, violenta e senza speranza. Sarà perché lo spettacolo non si ferma mai. La struttura è concepita in un continuo rincorrersi di personaggi e di storie. Con un continuo senso di disagio che toglie il fiato. Una performance talmente evocativa, simbolica, capace di parlare a tutti, anche se la lingua ed i luoghi possono apparire estranei.
(Mercoledì 4 Febbraio 2009) |
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