 “Terra Madre”, film documentario di Ermanno Olmi Diario di una domenica diversa Riflessioni sulle libertà e sui confini
di Piero Nussio Domenica 10 maggio è il giorno in cui il Presidente del Consiglio in carica ha dichiarato che non vuole un’Italia multietnica. È evidente che non sa che l’Italia è multietnica fin da prima che esistessero i Sabini, i Celti e i greci di Siracusa. È anche evidente che non sa nemmeno che l’Italia fa parte della Comunità Europea, che è multietnica per definizione. La sua dichiarazione mi ricorda un verso di Lucio Battisti: «Come può uno scoglio arginare il mare? Anche se non voglio…». Già un altro, prima di lui, ha tentato di gettare in acqua uno scoglio per arginare il mare. E la bagnata che ci siamo presa è ancora nel ricordo di tutti, e nella barbarie che ha ucciso milioni di persone.
Eppure, bastava che il suddetto presidente si fosse sintonizzato su una delle reti di cui è proprietario, quella stessa domenica, per imparare molte cose. Gliele potevano insegnare Theo Angelopoulos, regista greco, Marcello Mastroianni, attore italiano e Jeanne Moreau, attrice francese. Il film, che in questa domenica diversa il Presidente mi ha (del tutto inconsapevolmente) regalato è Il passo sospeso della cicogna (To meteoro vima tou pelargou), che Angelopoulos ha girato nel nord della Grecia, in Macedonia, nel 1991.

Il muro di Berlino era caduto nell’89, la dissoluzione della Jugoslavia è iniziata nel 1991, e in Albania le statua di Enver Hoxha sono cominciate a cadere dopo il ’91, quando il film già era in proiezione. Questi dati –ormai storici- sono importanti per un film in cui la fisicità del confine è la materia prima del racconto; il “passo” del titolo è quello di chi vorrebbe oltrepassare il limite ma non ne ha il coraggio e la gamba gli rimane sospesa a mezz’aria come la zampa della cicogna. Turchi, curdi, albanesi, mussulmani, cattolici, ortodossi, ebrei; le distinzioni si perdono nei costumi di lana pesante che servono in quel clima freddo e umido di montagna. La fotografia stessa del film è opaca e fangosa, come se volesse nascondere –per pudore- più che mostrare. Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, immensi attori, anche loro si nascondono più che apparire. Lasciano la prima posizione a Gregory Karr, decente attore greco, che è l’onnipresente protagonista del film. Ma, come di una spezia basta appena l’odore, di Jeanne Moreau basta la frase «Non è lui» addirittura recitata in inglese, perché allo spettatore giunga tutto il suo nascosto dolore. Di Mastroianni basta addirittura l’assenza: per tutto il film si nega che sia lui, appare in poche scene ed è sempre fuorviante, l’unica cosa che si ricorda è che non riesce a catturare un pesce di fiume e che non termina la storia dell’aquilone… Eppure è lui, e solo lui, il protagonista.

Proseguiamo il diario della mia domenica diversa: il capolavoro di Angelopoulos mi aveva già messo di uno spirito diverso. Era quello giusto per mollare tutta una infinita serie di “fondi di magazzino” cinematografici, ed andare a vedere Terra Madre di Ermanno Olmi. “Film documentario”, recita la locandina. E in effetti, all’inizio, sembrava quasi la piatta ripresa di una convention aziendale. Ma niente di più sbagliato: l’azienda –se così si volesse insistere- è il movimento Slow food fondato da Carlo Petrini. La “convention” è l’incontro “Terra madre”, una sorta di Nazioni Unite del biologico che si tiene ogni due anni in Piemonte, gestito dalla Fondazione omonima insieme a varie enti e istituzioni.

Fa piacere scoprire –o ricordare notizie ascoltate distrattamente- una realtà internazionale che almeno per una volta non vede l’Italia come arretrato fanalino di coda. È davvero una domenica diversa quando, dopo le mestizie del capolavoro di Mastroianni e Angelopoulos, uno può anche rincuorarsi con i pescatori olandesi e i contadini peruviani, tutti riuniti nelle Langhe, insieme ad un quindicenne che coltiva ortaggi per la mensa della sua scuola, negli USA, ed ha il piglio di un consumato uomo d’affari. Anche perché il film Terra Madre dopo un po’ prende altri ritmi: Ermanno Olmi si è fatto assistere da due dei suoi abituali collaboratori. Maurizio Zaccaro (Kalkstein – La valle di pietra, 1992 - Un uomo perbene, 1999) lo ha certamente assistito nelle riprese più giornalistiche, in quell’aria da reportage che il film assume quando documenta le caratteristiche degli strani delegati, convenuti da tutto il mondo con un’aria da contadini spaesati che vanno alla fiera del villaggio.

L’altra mano, che gestisce quasi tutta la seconda parte del film è quella di Franco Piavoli (Il pianeta azzurro, 1981 - Nostos, il ritorno, 1990). Chi, come me, ha ancora negli occhi le struggenti immagini del “Pianeta azzurro” riconosce immediatamente la mano del misconosciuto maestro veneto. E, se la sua contemplativa lentezza rende difficile seguire tutto un film fatto a modo suo, l’inserimento della sua storia nel film “Terra madre” si rivela molto felice: da un lato dà spessore alla materia un po’ televisiva del resto del film, e d’altro canto fa acquistare alle immagini naturalistiche di Piavoli uno spessore e dei contenuti che –da sole- non riuscirebbero ad avere.

Non tutte le idee di Terra Madre sono immediatamente condivisibili, specie per uno come me che ama (senza affatto vergognarsene) la tecnologia più dell’agricoltura. Ma tecnologia non significa necessariamente consumismo, così come l’agricoltura può essere molto più devastante dell’elettronica. Anzi, per una vita degna e piena, forse internet (ad esempio) può rivelarsi più utile di un vigneto a mezza costa, e consuma molto meno le risorse del pianeta.
Però questo è un altro discorso, e si può aprire un dibattito…

Io intanto sono grato a Franco Piavoli, a Ermanno Olmi, a Theo Angelopoulos e al fantasma di Marcello Mastroianni di avermi fatto trascorrere questa “domenica diversa”. Riflessioni sui confini, sulla libertà di movimento, sulle libertà fondamentali dell’uomo. Sulla libertà di vivere in accordo con l’ambiente. Sul diritto a ai beni primari, all’aria, all’acqua, alla natura.
Dice un' africana, in Terra Madre: «Sono arrivati gli inglesi, e ci hanno insegnato il possesso dei terreni. Ora gli americani ci vogliono insegnare il possesso e il brevetto delle sementi. Ma questa è casa nostra: l’aria, la terra e la natura sono sempre stati di tutti.»

(Lunedì 11 Maggio 2009)
Home Archivio  |