 Bilancio del festival della capitale I premi del 4° Festival del Cinema di Roma: luci e ombre Molti film deludenti ma non è colpa del budget
di Francesco Castracane Roma. A fine kermesse facciamo un bilancio del festival capitolino. Apparentemente i tagli non hanno influenzato sul suo normale svolgimento, anzi, la piccola cittadella del cinema afferente all’auditorium, sembrava essere più compatta e sobria. Alcuni pensano che la presenza di film complessivamente piuttosto deludenti, sia una conseguenza dei suddetti tagli. Penso che in parte ciò sia vero, ma probabilmente ciò è legato anche alla compressione di questo evento in un periodo non adatto per la reperibilità di film interessanti. Va precisato che comunque vari sono i lavori che hanno interessato il pubblico e questi vanno cercati, come sempre succede per i festival, nelle sessioni considerate secondarie. Ma passiamo ad una veloce riflessione sui premi che sono stati assegnati questo anno. Naturalmente partiamo dal Marco Aurelio d’oro, assegnato meritatamente al danese Broderskab dell’italo-danese Nicolò Donato, che racconta della nascita di un amore omosessuale tra due componenti di un gruppo di skinhead. Un premio che da una parte può essere considerato coraggioso ma dall’altra può essere situato all’interno di una visione politically correct. Il premio è ben meritato anche perché tocca molte questioni care in questo momento alla società italiana. Tale film ha vinto anche il riconoscimento collaterale assegnato dai giovani tra i 18 e i 22 anni e del premio “Farfalla d’Oro” AGIS Scuola.

Il Marc'Aurelio d'Argento Gran Premio della Giuria è andato invece a ‘L’uomo che verrà’ di Giorgio Diritti, che si è aggiudicato anche il Premio del Pubblico del Festival e quello del Ministero della Gioventù. Il regista, dopo l’inaspettato successo della sua opera precedente “Il vento fa il suo giro”, in questo suo nuovo lavoro affronta la strage di Marzabotto con un occhio particolare, che ha provocato qualche perplessità. L’idea di fondo del film è condivisibile: raccontare con occhio freddo la strage, vista soprattutto dal punto di vista della popolazione civile, che diviene vittima di eventi più grandi di loro. L’opera sembra quasi uno spaccato antropologico di una comunità contadina, che paga collettivamente, senza possibilità di poter reagire a una violenza che le viene imposta. Anche la scelta di utilizzare il bolognese permette allo spettatore di entrare ancora più in profondità nella storia di questi individui. Qualcuno ha visto in questo film una velata accusa al ruolo dei partigiani, ma lo stesso regista in più di un occasione ha tenuto a precisare che questa non è mai stata sua intenzione. In un intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: “Molti dei quei partigiani erano sprovveduti e praticamente disarmati. Nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che i tedeschi avrebbero fatto qualcosa di così mostruoso. Sono situazioni estreme in cui emergono le paure e le reazioni più impensabili per l'animo umano. Non concepisco il revisionismo storico, da parte mia c'era la volontà di raccontare un episodio terribile della storia di un territorio concentrandosi sugli affetti familiari e sulle piccole ritualità dei suoi abitanti. Persone che subiscono qualcosa di esterno, perché la guerra è qualcosa di esterno al processo evolutivo dell'umanità, è qualcosa che contro al progetto di una cultura come convivenza civile.” Premio meritatissimo, Marco Aurelio d’Oro alla Carriera, alla grande Meryl Streep, la quale ha dimostrato nell’incontro con il pubblico, che la bellezza non è sufficiente per affascinare chi l’ascolta e la guarda. Miglior premio per l’interpretazione femminile a Helen Miller, interprete dell’isterica moglie di Tolstoj nel film “The Last Station”. Non ho gradito molto questo film, un po’ troppo didattico e con poco approfondimento dei personaggi. Concentrare l’attenzione sulle relazioni familiari di Tolstoj non fa comprendere il rapporto dello scrittore con la cultura dell’epoca. Inoltre, a mio parere, l’immagine che esce della moglie dello scrittore è viziata da una sottile misoginia. Un premio è stato assegnato anche a Sergio Castellitto per la sua interpretazione nel film “Alza la testa” di Alessandro Angelini. Film interessante, di buon sviluppo nella prima parte, che tenta di definire in maniera non retorica la questione del rapporto fra gli italiani e gli immigrati ma che poi si perde verso la fine appiattendosi su soluzioni già viste. E’ comunque un buon film, forse un pò irrisolto e con, in alcuni momenti, una recitazione di Castellitto eccessivamente sopra le righe. Per lo stesso film è stato assegnato il premio Libera Associazione Rappresentanza di Artisti (L.A.R.A.) a Anita Kravos come migliore interprete italiana. Premio ENEL Cuore al miglior film sociale - sezione L’Altro Cinema | Extra a: H.O.T. – Human Organ Traffic, di Roberto Orazi, un inchiesta di 60 minuti sul traffico di organi; premio al miglior progetto europeo (La Fabbrica dei Progetti) - Levi’s è stato conferito a “No one’s child” di Stefan Arsenijevic, storia d’amore che si svolge a Belgrado. Al pluripremiato “The cove”, di Louie Psihoyos è andato il premio Ikea, una delicata storia che riguarda un allenatore di delfini; premio Hag a “Latta e café” di Antonello Matarazzo, documentario sul designer Riccardi Dalisi. Infine, premio speciale 10eLotto a Alba Rohrwacher.
(Sabato 24 Ottobre 2009)
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