 Remake del film di Fritz Lang diretto da Peter Hyams Un alibi perfetto Un film imperfetto con molti colpi di scena
di Samuele Luciano Un alibi perfetto è un film imperfetto, che vuole ammiccare all’inizio, impegnare nella parte centrale e stupire nel finale, ma che lascia qualche perplessità sotto il palato dello spettatore. I personaggi che ci presenta Peter Hyams (regista che predilige la fantascienza, vedi “Giorni contati” e “Atmosfera Zero”) sono giovani, carini e pure occupati! C J Nicholas e il suo fedele amico Corey Finley lavorano come giornalisti per una nota emittente americana, mentre Ella è impiegata presso lo studio dell’acclamato Procuratore Martin Hunter, interpretato dall’intramontabile Michael Douglas. Le primissime scene sembrano dare il via ad una commedia giovanile: l’interazione tra i due giornalisti è a volte esilarante e la storia d’amore che si accende tra Ella e C. J. è eccitante. Tutto questo predispone ad uno sviluppo del plot che non ha niente a che vedere con il noir, così come invece si respirava dall’atmosfera del trailer.

A metà film Hyams piomba di getto i protagonisti in una spy-story pseudo-Tutti gli uomini del Presidente, con tanto di archivi segreti, documenti falsificati e alla fine ci scappa pure il morto. Ma se nella prima parte le scene e gli interpreti convincono, nella seconda arrivano dei forti scivoloni nel già visto e forzature narrative al servizio di scene d’azione al cardiopalma che non sempre stanno in piedi (vedi il poliziotto che spunta fuori per salvare Ella nel parcheggio sotterraneo, ma soltanto quando questa non ha più nessuna via d’uscita). Hyams è bravo a costruire se non altro una bella action e alla fine, arrampicandosi sul celluloide, recupera il coinvolgimento del pubblico. Ma in chiusura vuole spiazzare ancora, con un colpo di scena alla “Saw”, riducendo di nuovo lo spettatore ad estraniarsi da un racconto che diventa meno credibile di prima. Detto questo, bisogna aggiungere che la storia non è nuova di zecca, si tratta infatti di un remake dell’omonimo film girato da Fritz Lang nel ’56. E si sa che nel rifare un’opera si cerca di prendere le distanze dall’originale: alla giusta distanza si è originali, ma se si sbagliano le misure si rischia di essere improponibili. Ormai 65enne, il figlio d’arte Michael Kirk Douglas sembra una statua di gesso e si limita a fare pochi passi nell’aula del tribunale, più qualche smorfia con le celebri labbra. A volte dà l’impressione di zoppicare, ma nonostante l’età non rinuncia alla sua scultorea pettinatura adesso un po’imbiancata rispetto a quando percorreva le strade di S. Francisco.
giudizio: * 1/2

(Venerdì 13 Novembre 2009)
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