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Una ventata d'aria pulita

Piccolo è bello

"Happy family" e "Dragon trainer", due film piacevoli


di Piero Nussio


Piccolo è bello. Certo uno non si deve aspettare chissà quali prestazioni… Ma andare al cinema non dev'essere sempre, necessariamente un'esperienza che sconvolga i sensi e la mente.

Anzi, se devo confessarvi la verità, andando al cinema mi aspetto soprattutto uno spettacolo (piacevole, interessante, magari rilassante). Mi aspetto il corrispettivo del biglietto pagato ("value for money", dicono quei pragmatisti degli americani, e si arrabbiano se non gli si dà qualcosa di valore in cambio dei loro dollaroni). Noi spettatori europei stiamo invece sempre in cerca della sorpresa, della "pietra miliare della storia del cinema", del film "d'art e d'essai". Non che mi dispiaccia –dioneguardi- di incontrare un bel film, e di tanto in tanto un capolavoro, ma è alla qualità media che punto ogni volta che vado al cinema.
Ed ecco dunque spiegata l'affermazione iniziale: "piccolo è bello", quando un autore troppo cerebrale e cogitativo riesce a fare un buon film di media qualità, divertente e rilassante, è "piccolo" ma, dice lo spettatore soddisfatto, anche "bello". È successo per Woody Allen che, dopo essersi inutilmente contorto in giro per il mondo con Scoop (2006), Sogni e delitti (2007) e Vicky Cristina Barcelona (2008) ha finalmente capito un semplice concetto: bastava tornare a casa sua, a Manhattan, parlare di cose che conosceva bene, e farlo sinceramente, che avrebbe funzionato. E infatti Basta che funzioni (2009) ha funzionato ed è stato unanimemente apprezzato da tutto il suo disamorato pubblico.

Il cast di "Happy family"


Ed adesso "funziona" con Gabriele Salvatores: con Io non ho paura (2003) aveva imboccato il sentiero tortuoso dell'orrore, ed aveva proseguito con Quo vadis, baby? (2005) e con Come Dio comanda, in cui il senso di gotico era acuito da ricordi nazisti, malattie mentali, alcolismo ed altre piacevolezze del genere. Molti spettatori, ed io tra questi, hanno sfuggito queste opere sgradevoli, che –ovviamente- erano molte miglia lontane dal capolavoro cinematografico.

Ora, raggiunto da un soprassalto di buona cinematografia (e forse perché ha cambiato ispiratore, da Niccolò Ammaniti a Alessandro Genovesi), ha deciso di fare una gradevole commedia, piacevole, leggera, limpida, chiara, e ben interpretata: Happy family (2010).

Tra l'altro, questo genere di film –oltre ad essere un balsamo lenitivo per lo stressato spettatore- è un'ottima palestra di recitazione per attori di buon livello, e per i tecnici che amano fare del buon cinema senza effettacci. Nel caso, c'è da lodare le interpretazioni di Fabrizio Bentivoglio, Diego Abatantuono e di Fabio De Luigi. E ci sarà da lodare anche Margherita Buy, quando smetterà di fare la musa piagnona e riacquisterà un po' di verve.

Abatantuono e Bentivoglio


Gabriele Salvatores, come Woody Allen per suo conto, è ben consapevole dei debiti che nel corso della sua commedia si sta prendendo con la letteratura mondiale ed il cinema d'ogni tempo. E ci scherza sopra, facendo dire ai suoi personaggi «Ecco il nostro piccolo Pirandello…» perché se c'è un riferimento letterario che balza agli occhi in Happy family è quello ai "Sei personaggi in cerca d'autore". La trama che vede l’autore coinvolto nel plot e i personaggi che interagiscono con lo svolgersi degli avvenimenti narrati è un “topos” letterario che vale fin dai tempi di Omero: critici avveduti hanno segnalato paralleli cinematografici con I Tennenbaum (Wes Anderson, 2001) e con I soliti sospetti (Bryan Singer, 1995). Qualcun altro si è spinto a citare Fellini 8 ½, io potrei aggiungere I promessi sposi di Manzoni, La vita e avventure di Tristam Shandy di Sterne, l’opera completa di Borges…

La realtà è che Salvatores si diverte a raccontarci questa storia/non storia, gli attori la recitano con partecipazione, ed il pubblico si ritrova in molte situazioni, caratteri, desideri, sogni e speranze raccontate nel film. Non è un capolavoro del cinema, non resterà nella storia del teatro, ma fa passare bene un sabato sera all’ignaro spettatore (senza scadere nel trito, nel volgare, nel banale): value for money.

I draghi di "Dragon trainer"


Uguale value for money lo dà, ad un pubblico più giovane, il film d’animazione Dragon trainer (Dean DeBlois e Chris Sanders, 2010). Qui si rischia il capolavoro ancora meno che nel caso del film di Salvatores. De Blois e Sanders sono due onest’uomini dell’esercito Dreamworks che hanno portato per immagini –insieme a uno stuolo di animatori- i libri della scrittrice Cressida Cowell, autrice inglese di una saga su “Come addestrare il proprio drago di casa”.

Lasciatemi dire che l’edizione italiana è veramente sciatta: il titolo è (in italiano…) Dragon trainer, e non “Come addestrare il proprio drago” come direbbe il titolo originale. Il protagonista è chiamato (in italiano…) Hiccup, e non “Singhiozzo”, che è il significato del nome, adattissimo ad un “vichingo che soffre di mal di mare”. Traduzioni a parte, il film è veramente godibile, con un “plot” che non sfiora mai il capolavoro, ma è molto più credibile e fantasioso dei tanto osannati Avatar (James Cameron, 2009) e Alice in wonderland (Tim Burton, 2010).
Poi c’è una manciata di buoni sentimenti, le incomprensioni con i grandi, i compagni di gioco bulletti. Ossia la vita di un pre-adolescente medio, meno sesso, droga, alcolici e scemenze filmate col telefonino per YouTube.

I draghi da combattimento di "Avatar"


Sia Avatar che Dragon trainer si basano su personaggi che cavalcano esseri volanti, e se non fosse per piccole differenze fra i due, si direbbe che si siano ispirati a vicenda. In realtà sappiamo bene che i film d’animazione hanno tempi di lavorazione molto lunghi, e quindi appare improbabile che l’uno possa aver visto le idee dell’altro in anteprima.
Più probabilmente è un “segno dei tempi”: stretti (a tutte le età) fra il traffico cittadino e quello del fine settimana, non ci rimangono che i cavalli alati per poter sognare un po’.

Il virtuale (di Faceboook, dei videogiochi lugubri, delle cretinate su YouTube) sta diventando sempre più quotidiano per i ragazzi d’oggi. L’unico modo di poter evadere sul serio è una lunga cavalcata, come quella che Alan Ladd faceva nel Cavaliere della valle solitaria


Il ritorno alla commedia di Gabriele Salvatores
Happy Family
Script convincente per una pellicola elogio al divertimento

Delude e non emoziona l'ultima pellicola di Tim Burton
Alice in Wonderland
Più vicino alla saga de "Il signore degli anelli" che alla poetica burtoniana

Capolavoro ambientalista e antimperialista
Avatar
Esperienza unica, magica, totalizzante

L'ironia "malsana" nel mondo sottomarino
Wes Anderson
L'ultimo film del regista de "I Tennenbaum"
Le avventure acquatiche di Steve Zissou è una metafora sottomarina di un mondo impazzito.



(Mercoledì 31 Marzo 2010)


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