 "Volevo essere Vallanzasca" Kim Rossi Stuart Incontro con l'attore che interpreta sullo schermo il Bel René
di Oriana Maerini  Roma. Con la sua faccia da bel ragazzo di buona famiglia non si direbbe che Kim Rossi Stuart possa interpretare ruoli "maledetti" di personaggi belli e dannati eppure è così. "Vallanzasca mi ha affascinato in quanto personaggio controverso e ricco di elementi forti e contraddittori. E' un uomo nel contempo gentile e spietato. - così l'attore romano esordisce alla conferza stampa odierna di Vallanza gli angeli del male l'ultima fatica di Michele Placido che, dopo la presentazione veneziana inseguita dalle polemiche, sbarca al cinema in 350 copie distrubuito dalla Fox. Kim Rossi Stuart inizia giovanissimo (aveva cinque anni) ad apparire davanti alla macchina presa nel film “Fatti di Gente per Bene” diretto da Mario Bolognini. Nessuno avrebbe immaginato che qualche anno più tardi quel ragazzino biondo sarebbe diventato uno degli attori di punta del cinema italiano. Dopo la consacrazione artistica con Romanzo Criminale l'attore torna a ricoprire un altro ruolo "noir" scomodo e complesso che, a quanto pare, è in sintonia con la sua cifra stilistica attoriale.
Placido ha affermato di aver accettato di girare il film per poter ritagliare il ruolo addosso a lei. Che ne pensa? Indubbiamente ero fortemente motivato a indossare i panni di Vallanzasca e sono stato felice di essere stato scelto. In fase di realizzazione, poi, Placido mi ha anche coinvolto nella scrittura della sceneggiatura per cucirmi addosso il ruolo in modo più appropiato.
Lei ha frequentato il bandito per prepararsi al ruolo che impressione ha avuto?
Ho conosciuto il Vallanzasca vivente. Quello che sta scontando il carcere duro a vita. Quello che è stato un vero angelo del Male. Il ragazzo che già a vent'anni aveva cumulato un ergastolo e vari anni di carcere. Ci siamo incontrati sei o sette volte ed è stato molto importante perché è stata una banca di informazioni. Adesso è un altro uomo di quello che quaranta anni fa terrorizzò una regione, forse una nazione, con quella sua follia da far west.
Nei suoi incontri con Vallazasca, non le ha mai detto di aver provato pentimento per aver ucciso Massimo Loi, che ai tempi dei fatti aveva solo diciannove anni?
Gesù Cristo insegna che tutto si può perdonare. Io faccio l'attore, cioè una persona che entra nei panni di un personaggio cercando di esprimerne tutte le sfaccettature. Vallanzasca è un uomo zeppo di contraddizioni che per sua scelta è andato contro tutte le regole. Adesso è un uomo diverso, un uomo che ha definitivamente seppellito l'ascia di guerra contro le istituzioni, ma non so se si sia mai pentito di aver ucciso quell'amico fraterno e tossicodipendente che in carcere aveva cercato di abbandonare definitivamente la vita criminale.

Non crede che il film aiuti a celebrare il personaggio?
No assolutamente. Abbiamo cercato di mostrare la sua “carriera” criminale, riportando fatti molto aderenti alla realtà. Il quid era realizzare un film equilibrato che non celebrasse il criminale, ma che cercasse di aprire uno spiraglio nell'uomo Vallanzasca.
Cosa pensa delle critiche che sono state rivolte al film?
Credo che si tratti di una presa di posizione assurda e ipocrita. Qui si parla di un ragazzo che quaranta anni fa era un pericoloso criminale, che tra l'altro ha sempre rimarcato di esserlo stato, che sta pagando con la vita quello che ha fatto. Trovo assurdo che ci indigni per un film, che ricalca le sue “gesta”, ed invece non ci si indigni per i comportamenti di certi esponenti politici che infangano l'immagine del paese.
Vallanzasca è un film competitivo a livello internazionale. Pensa che finalmente il “cinema” noir sia stato sdoganato come dovrebbe?
Dopo Romanzo Criminale si. Adesso con Vallanzasca ancor di più, basti pensare che in questi giorni stanno per iniziare le riprese sulle vicende di Felice Maniero, il boss della malavita del Brenta.
Quanto è stato faticoso entrare nella pelle di Vallazasca?
Sebbene si fosse creato un bell'affiatamento sul set, l'impatto con un personaggio del genere è stato molto forte. Ma oltre le nostre interpretazioni, tutto il film è stato faticoso. Ricordo il freddo che c'era a San Vittore, mentre noi eravamo vestiti con abiti estivi. Poi la fatica di stare nei tempi di realizzazione girando cinque o sei scene al giorno. Insomma è stato un campo di battaglia dove credo siamo riusciti a dare il meglio di noi stessi.
Nella scena finale Renato Vallanzasca abbozza una ritrovata umanità rinunciando a sparare al carabiniere facendosi arrestare. Le cose sono andate veramente così?
Quella è un'invenzione di Placido. Pare che nel libro autobiografico Il Fiore del Male, ci sia il succo di quello che accadde quella notte nei pressi di Grado. Onestamente è una scena forte, perché prelude al cambiamento “umano” del criminale ed anche un ottimo momento per chiudere il film.
Quanto ha lavorato sulla psicologia di Vallanzasca?
E' stato interessante analizzare l'ambivalenza della personalità di Vallanzasca. Da una parte c'è quella del buco nero della sua anima, quella che lui definiva “il lato oscuro molto pronunciato”; mentre dall'altra quella dell'uomo affascinante che riusciva a fare breccia nei cuori delle donne. E' un personaggio inquietante, sfaccettato... Certo che conoscendolo non ho provato simpatia per lui, quindi non c'è stato nessun coinvolgimento personale. Come attore ho cercato di restituire il più possibile quello che ho acquisito conoscendolo. Il mio è un mestiere fatto di costruzione, nel quale devono immergere il mio essere in un personaggio. La difficoltà è stata prendere spunto da un uomo vivente, con alle spalle delle esperienze così lontane dalla mia vita.
(Lunedì 17 Gennaio 2011)
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