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Il crac Parmalat diventa un rigoroso film

Il gioiellino

Gangster anni '30 o pescicani di Wall street?


di Piero Nussio


Il regista Andrea Molaioli, per molti anni aiuto regista di Nanni Moretti, ama il nord est od il nord ovest che sia. Prima Udine, lago di Fusine, con La ragazza del lago (2007), ora Acqui, in Piemonte, con Il gioiellino, film ispirato al crac Parmalat.
Il riferimento compare solo nei titoli di coda dove si dice che sono stati consultati tutti i documenti del processo Parmalat.

Amanzio Rastelli (un Remo Girone rugoso e travagliato) è il proprietario di una azienda di prodotti alimentari, la Leda, che dice in un convegno del 1992, aver creato secondo i valori del dopoguerra. Ma da quel momento in poi si sviluppano una serie di eventi, dovuti in parte alla tanto acclamata e benedetta (allora) globalizzazione.
Maggiori investimenti per differenziare i settori di produzione, apertura di nuovi mercati (la Russia ed i paesi dell’est europeo, in cui come il paradiso è difficile entrare ma poi è impossibile uscire).


La presenza di giovani figli e nipoti nullafacenti o rampanti, vogliosi di status symbol (squadre di calcio, agenzie di viaggio, macchine di lusso, ecc.) portano l’industrialotto Rastelli, affiancato dal fedelissimo ragionier Ernesto Botta (un ormai impalpabile Toni Servillo) a tentare le strade finanziarie più spericolate, confezionando falsi in bilancio coperti da impossibili fondi nascosti nelle banche delle Cayman Islands.


Molaioli ama anche gli ambienti freddi, sia naturali, esempio il lago glaciale del Friuli ne La ragazza del lago, sia negli uffici, quasi sempre deserti ed in notturna de Il gioiellino.
Le stesse persone sono, anch’esse dentro, buie e silenziose solitudini nei loro freddi rapporti interpersonali.
Il rapporto sessuale tra il vecchio ragioniere, al tramonto, e la giovane laureata rampante è poi emblematico di rapporti interessati, strumentali e senza pathos, solo in piedi od in poltrona, senza futuro.

Con l’inizio e la fine cadenzati dagli scavi della Guardia di Finanza per recuperare gioielli nascosti nei giardini e la distruzione di prove compromettenti da parte dei complici impiegati.
Molto importanti rimangono, a mio avviso, quelle figure come le segretarie, gli autisti, i lavoratori semplici, gente comune che nulla a che fare con i corrotti dispensatori di truffe allargate.


Ma ormai, anch’essi corrotti, nella maniera di pensare ‘servile’, invalsa in Italia e nel mondo, avallano ogni azione spregiudicata criminale, giustificando le infrazione delle leggi e chi li commette, in nome di un garantismo idiota, che dovrebbe valere anche per se stessi.

Come se un ingiustificato senso di colpa abbia ormai pervaso tutti i cervelli in una loro identificazione con il potere delle lobbies industriali e finanziarie.


In fondo, alla fine anche il film di Andrea Molaioli, nel tratteggiare i protagonisti della vicenda ne fa delle figure da soap opera americana (vedi Dallas).
Il gioiellino è pur sempre un film, deve piacere ed il regista, anche coautore della sceneggiatura, non può prendere posizione contro le sue creature.

E la fotografia scura, con tagli laterali ed onirica sembra proprio quella dei film dei gangster degli anni trenta, più che dei film sui pescecani di Wall Street.



(Martedì 8 Marzo 2011)


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